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Mulini e tessili. Pasta, pelli, canapa e cotone

Mulini e pastifici
Le attività manifatturiere della macinazione del grano e della fabbricazione della pasta sono intimamente collegate con i bisogni primari della numerosa popolazione della città e della provincia di Napoli, e con abitudini alimentari che vedono da sempre il pane elemento essenziale della dieta ed il consumo di pasta in costante ascesa rispetto alle verdure molto usate nel medioevo e nell'età moderna. Sul territorio della provincia pertanto sono presenti da secoli i mulini, in genere idraulici e con macine di pietra, e piccoli nuclei di artigiani maccaronari. Una presenza importante di mulini e dei primi piccoli pastifici si verifica tra la fine del Settecento e i primi decenni dell'Ottocento in alcune località non lontane da Napoli e ben collegate con il grande granaio della Puglia: in particolare Torre Annunziata e Gragnano.

Nell’Ottocento postunitario si afferma il mulino a cilindri (di metallo), mosso per lo più dall'energia del vapore e situato soprattutto nelle località costiere, dove è più facile far arrivare il carbone e grandi partite di grano; i pastifici diventano più grandi ed iniziano ad utilizzare macchine mosse dal vapore, per impastare, gramolare e trafilare la pasta. A Napoli negli anni ’80 viene fondata un’azienda molitoria di grandi dimensioni: la Bodmer & C., con la partecipazione della banca Napoletana, di due imprenditori stranieri del settore, Wegman e Bodmer, di alcuni ricchi commercianti di grano meridionali, tra cui il pugliese Pavoncelli. L’azienda ha due mulini – uno nella zona orientale di Napoli e l’altro a San Giovanni –  due macchine a vapore e 24 macine a cilindro, nonché grandi capitali, ma incontra presto notevoli difficoltà a causa degli alti costi di produzione e dei conseguenti alti prezzi del prodotto finito. Negli anni ’90 viene ceduta alla società romana Pantanella.
Esiti migliori hanno nello stesso periodo alcune fabbriche di medie dimensioni, localizzate per lo più a Torre Annunziata, in cui spesso si abbina la macinazione con la fabbricazione della pasta. In particolare la Domenico Orsini e la Francesco Scafa e C., che fanno da aziende guida a tutto il vasto complesso manifatturiero della cittadina nel settore: circa cento aziende, alcune dedite sia alla macinazione che alla pastificazione, la maggior parte alla sola produzione dei maccheroni. Analoga, anche se con numeri inferiori, la situazione nella vicina cittadina di Gragnano, dove una sessantina di fabbriche, per lo più dedite alla sola produzione di pasta, hanno come azienda guida il grande mulino e pastificio di Alfonso Garofalo, che ad inizio Novecento si trasforma in società per azioni.
A partire dalla fine dell’Ottocento inizia il periodo d’oro dell’industria della pasta campana, caratterizzata anche da un'enorme crescita delle esportazioni verso le Americhe, dove diviene sempre più numerosa la popolazione di origine italiana. In grande progresso a Torre Annunziata è una decina di società medio-grandi, tra cui alcune di proprietà degli Orsini, dei Fabbrocino e dei La Rana, in cui sono attivi anche imprenditori e finanzieri di altre località della Campania, soprattutto napoletani e casertani.  Accanto alle aziende maggiori opera un centinaio circa di aziende medio-piccole. Nel complesso al momento dello scoppio della prima guerra mondiale i pastifici di Torre Annunziata producono circa 1.200.000 quintali di maccheroni.
A Gragnano è in grande espansione il Mulino e pastificio Alfonso Garofalo, trasformato in società anonima nel 1903. È la maggiore impresa della seconda cittadina della pasta campana, grande pastificio e prima ancora enorme mulino, fornitore degli sfarinati da trasformare alle decine di piccole fabbriche locali, azienda trainante sotto l’aspetto tecnologico per le non molte fabbriche di medio livello operanti a Gragnano, soprattutto la Alfonso di Nola & figli, la D’Apuzzo, la Nastro.
Le aziende di Gragnano e Torre Annunziata, ma anche alcuni pastifici di Napoli, San Giovanni a Teduccio e Castellammare di Stabia sono in questo periodo le maggiori protagoniste della corsa inarrestabile delle esportazioni di pasta italiana verso le Americhe, che durerà circa un ventennio: dai 100.000 quintali del 1895 a 700.000 nel 1913.

Concerie e industria dei guanti
Nella provincia di Napoli sono molto praticate nell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento la concia delle pelli e la produzione dei guanti di pelle. La prima si svolge sia nel capoluogo, sia soprattutto in alcune località della provincia, in particolare a Castellammare di Stabia e a Resina;  la seconda è un’attività specificamente della città di Napoli.
Inizialmente le concerie più importanti sono a Castellammare: hanno un importante sviluppo nella prima metà del secolo ad opera di imprenditori stranieri (Teisseire, Haller e altri), che installano opifici di notevoli dimensioni (per il settore); ma poi sono in fase calante nell’ultimo quarto dell’Ottocento e chiudono del tutto all’inizio del secolo. Contemporaneamente sono in attività decine di concerie, di piccole dimensioni, a Napoli, localizzate per lo più al Ponte della Maddalena: sono dedite esclusivamente alla preparazione di pelli per guanti.
Nella seconda metà del secolo vengono fondate alcune concerie molto più grandi, con anche oltre 100 operai ciascuna e motori a vapore, dedite alla produzione di cuoio per l'industria calzaturiera,  a Napoli, Barra, San Giovanni e Resina. Le più importanti si chiamano Maffettone, Budillon, Arcucci. Ormai l'area orientale di Napoli e le sue immediate propaggini fino a Resina hanno pienamente sostituito Castellammare come polo conciario moderno della provincia e si può dire di tutto il sud Italia, anche se non si pratica ancora in nessuna azienda la concia rapida al cromo, già praticata in Germania da diverso tempo. La fondazione a Napoli nel 1885 della Real Stazione Sperimentale per l'Industria delle Pelli e delle Materie concianti non produce un immediato miglioramento delle tecniche e dell’organizzazione del lavoro (cosa che avverrà solo nel secondo decennio del Novecento).
Lo sviluppo conciario della fine del secolo è intimamente collegato con quello dell'industria calzaturiera, che proprio in questo periodo passa dalla lavorazione esclusivamente artigianale alla concentrazione in fabbrica e all'impiego di macchine in alcune fasi della produzione. I calzaturifici maggiori utilizzano piccoli motori a gas ed impiegano anche centinaia di operai, pur continuando ad usufruire per alcune fasi della produzione del lavoro a domicilio.
Un particolare e assai importante settore della lavorazione delle pelli è quello rivolto al taglio e alla cucitura dei guanti: grazie all’entità della produzione e all’ampiezza del mercato di vendita. È una lavorazione diffusa tra la popolazione soprattutto femminile di alcuni quartieri o casali di Napoli, praticata a domicilio o in tantissimi piccoli laboratori.  Di antica tradizione,  aveva ricevuto un impulso innovativo all’inizio dell’Ottocento ad opera di artigiani venuti da Grenoble. Nel corso della prima metà del secolo si erano affermati alcuni imprenditori che sovrintendevano alla lavorazione casalinga di centinaia di lavoratori, tra cui i Lo Forte, che, pur con il susseguirsi delle generazioni, rimarranno i maggiori imprenditori del ramo nel corso di tutto l’Ottocento. Negli ultimi decenni del secolo quest’attività cresce notevolmente, grazie alla conquista di molteplici mercati esteri: Francia, Inghilterra, Germania, Turchia, America.

L’industria della canapa
Fino a metà dell’Ottocento il grosso della produzione canapicola campana è destinato soprattutto al mercato interno, rappresentato da un diffuso artigianato praticato nelle aree di coltivazione della fibra, e da poche lavorazioni di tipo industriale, ad esempio a Sarno.
La lavorazione artigianale è rappresentata soprattutto dalla produzione di spaghi e cordami e dalla pettinatura della canapa (per la produzione di un semilavorato da tessere) praticate da secoli a Frattamaggiore e destinate a costituire la base dello sviluppo industriale della cittadina. Qui si verifica, a partire dagli anni ’80 dell’Ottocento, un processo di sviluppo basato su circa cinquanta ditte, che operano soprattutto da ottobre e maggio, tra la conclusione, cioè, dei lavori di raccolta e macero-stigliatura della pianta e la vigilia del nuovo raccolto. Le operazioni di pettinatura avvengono all’interno di anguste case-botteghe o negli spazi laterali coperti delle corti dei palazzi; la produzione dei cordami è praticata invece quasi tutto l’anno, nelle piazze o in altri spazi liberi del paese. Lo strumento delle pettinatrici (il 75% della manodopera impegnata in questa attività è costituita da donne) è rappresentato da un cavalletto di legno cui sono fissati tre differenti pettini dotati di denti metallici; gli attrezzi dei funari sono invece costituiti dalla tradizionale ruota di legno, per la torsione delle fibre, e da cavalletti, anch’essi in legno, su cui si fanno scivolare le corde di maggiori dimensioni. Tra l’ultimo scorcio dell’Ottocento e l’inizio del Novecento cominciano a sorgere le prime fabbriche: il Canapificio Angelo Ferro & figlio e il Canapificio Angelo Canciello, impegnati nella pettinatura meccanizzata della fibra, nonché lo stabilimento del Canapificio napoletano s.a., primo impianto meccanizzato per la filatura della canapa della provincia di Napoli, dotato di ben 5.000 fusi. Se si escludono la Regia fabbrica di cordami di Castellammare di Stabia, alle dipendenze della Direzione degli armamenti, e l’impianto della Compagnia anonima di credito tornese di Torre del Greco (e pochi piccoli laboratori sparsi sul territorio provinciale), la lavorazione della canapa risulta dunque concentrata, nell’ambito della provincia di Napoli, quasi esclusivamente nella zona di Frattamaggiore.

L’industria cotoniera
Fino alla prima guerra mondiale l’industria cotoniera è molto poco presente nella provincia di Napoli: solo alcuni piccoli opifici a Napoli e una fabbrica di modeste dimensioni a Castellammare di proprietà di Roberto Wenner, il maggiore industriale cotoniero svizzero attivo in Campania. Poca cosa rispetto alle grandi fabbriche di proprietà svizzero-tedesca che si affermano negli ultimi decenni dell’Ottocento in diversi comuni della provincia di Salerno. La legge speciale del 1904 induce però il capitale settentrionale ad investire in questo campo e qualche anno dopo, nel quartiere di Poggioreale, vengono costruiti due grossi cotonifici, tecnologicamente molto avanzati: quello della Società anonima Ligure Napoletana (60.000 fusi e 800 operai) e quello più piccolo della Società anonima Industrie Tessili Napoletane. Le due aziende, pur raggiungendo negli anni successivi notevoli produzioni, non riescono ad ammortizzare celermente i notevoli costi d’impianto e vengono perciò ceduti tra il 1913 e il 1916 a Roberto Wenner, proprietario delle Manifatture Cotoniere Meridionali R. Wenner, con sede principale a Scafati. Tra il 1917 ed il 1918 questa azienda e le altre due grandi imprese salernitane del settore (già Aselmeyer e già Schlaepfer-Wenner) sono acquistate dalla Banca italiana di sconto (BIS), quarta banca mista italiana: nasce così la Società anonima Manifatture Cotoniere Meridionali (MCM), uno dei maggiori gruppi cotonieri italiani: con un capitale sociale di 40 milioni di lire, 340.000 fusi, 2.800 telai, sette gruppi di fabbriche: a Fratte, Pellezzano, Angri, Nocera, Scafati, Piedimonte Matese, Spoleto e, in provincia di Napoli, a Castellammare di Stabia e a Napoli Poggioreale.

Silvio de Majo

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