L'Italia unita - Attività economiche e produttive - Commercio
Il commercio

All’indomani dell’unità, nonostante la perdita del ruolo di capitale, Napoli è il più grande centro urbano italiano, con un mercato di consumo di beni primari che, per quanto in calo, resta comunque caratterizzato da un movimento merci unico nel panorama nazionale, che impegna energie commerciali e risorse finanziarie cospicue. Mentre va scemando infatti la sua centralità nel sistema territoriale del Mezzogiorno che va sviluppando nuove forme di regionalizzazione, la città entra nel circuito del mercato nazionale in formazione e del liberoscambismo del commercio internazionale. Essa riorganizza il rapporto con il suo hinterland, la sua provincia ed il resto della Campania, per i quali diviene nodo di un  commercio di transito che fa crescere l’attività portuale, nonostante lo sviluppo dei porti limitrofi di Castellammare e Torre Annunziata.
Mentre muta la qualità delle merci in transito, per cui vino, pasta, frutta secca, filati di lino, corallo e bestiame crescono rispetto a grano, olio d’oliva, robbia, liquirizia e seta grezza, rimane inalterata la tipologia plurifunzionale delle «figure dello scambio», tipico intreccio, come nel periodo preunitario, di attività commerciali, bancarie, assicurative e armatoriali. Le case d’affari strettamente legate ai Borbone, come i Buono, i Forquet, i Falanga, lasciano le leve del comando ad altre organiche al sistema. Dal 1863 al 1880, poi, il Consiglio d’amministrazione della Camera di commercio mostra una grande continuità. «I nomi di coloro che siedono ininterrottamente ai vertici della Camera sono ancora quelli di Tito Cacace, presidente, con qualche interruzione, dal 1864 al 1880, avvocato e presidente del Banco di Napoli e della Cassa Marittima; di Antonio Cilento, banchiere e negoziante di tessuti; Antonio Incagnoli, grossista di carta e consigliere di amministrazione del Banco di Napoli; di Gregorio Macry, negoziante di ‘generi diversi’; di Antonio Alhiaque e di Enrico Achard, banchieri; di Tel Meuricoffre, banchiere e console della Confederazione elvetica, tutti legati da un’omogeneità di interessi che sembra incrinarsi solo a partire dal 1880» (Frascani). Se lasciano le leve del potere, i Forquet e i Falanga sono però ancora nel 1872 ai primi posti delle classi di reddito, nelle liste dei contribuenti dell’imposta di ricchezza mobile. Persiste pertanto nel primo ventennio dopo l’Unità la struttura gerarchica del ceto mercantile, ai cui vertici stanno le grandi case d’affari che mantengono il controllo sulla gestione della Camera di Commercio di Napoli, tengono in vita pratiche monopolistiche e speculative nonostante il mutare della geografia degli scambi internazionali e l’allargarsi del mercato creditizio, controllano la borsa della città, entrano nella classe politica municipale.
Nel 1880 gli equilibri all’interno del mondo commerciale della provincia appaiono invece mutati: il Consiglio di Amministrazione della Camera di commercio si rinnova completamente, ammettendo membri eletti in altre località regionali emergenti, ormai autonome nei confronti del capoluogo, quali Torre Annunziata e Castellammare, dove è fiorente soprattutto la produzione e il commercio degli sfarinati e della pasta.  Di fronte alla creazione di un mercato nazionale del credito, alle innovazioni tecnologiche e delle pratiche commerciali che accompagnano lo sviluppo della modernizzazione, alle misure protezionistiche del periodo 1878-’87, l’élite mercantile-finanziaria napoletana non sa adeguarsi ai cambiamenti. Con il calo del commercio a vasto raggio dei prodotti agricoli vengono meno la sua capacità di controllo del mercato finanziario e la sua caratteristica funzione di intermediazione. Ai grandi importatori si va sostituendo una rete di commessi viaggiatori e i negozianti prendono a rifornirsi direttamente dai produttori.
Non sembra mutare, invece, a livello organizzativo, nonostante la regolamentazione del sistema commerciale attuata dalla politica economica dello stato liberale, il sistema della distribuzione nel circuito locale, costituito da ambulanti e dettaglianti numerosissimi e in buona parte controllato da associazioni di «sensali-incettatori» di stampo camorristico che mantengono il controllo sui prezzi.

                                                                                                         
Silvio de Majo
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