L'Italia unita - Attività economiche e produttive - Industria - Cantieri

La cantieristica navale in provincia di Napoli (secoli XIX-XX)

Già prima dell’Unità d’Italia una componente importante dell’industria pesante della provincia di Napoli è rappresentata dai cantieri navali, statali e gestiti dalla marina militare: il Cantiere navale di Castellammare, fondato alla fine del Settecento da Ferdinando IV, e l'Arsenale marittimo di Napoli, collegato allo stabilimento stabiese, perché per lo più vi si provvede ad allestire ed armare le navi lì costruite. Durante il regno di Ferdinando II i cantieri, ingranditi e rinnovati, producono alcune delle navi a vapore della nuova flotta borbonica (quelle non acquistate all'estero).

Cantieri navali di Castellammare, Napoli
Tratto da: Augusto Vitale, Napoli e l'industria 1840-1990,
Camera di Commercio di Napoli, Collana Studi per il Mezzogiorno

Dopo l’Unità, i due impianti sono sottoutilizzati dallo Stato italiano che preferisce privilegiare il nuovo cantiere di La Spezia o gli acquisti all’estero. Un’inversione di tendenza avviene a partire dalla seconda metà degli anni ’70, perché i due stabilimenti riescono ad ottenere alcune delle più importanti commesse per la Marina. Nel 1876 è così varata la corazzata Duilio, di 11.190 tonnellate, quattro anni dopo l’Italia, di analoga stazza, altre ancora negli anni Ottanta e all’inizio del Novecento: fino al 1910 sono varate sette corazzate e due incrociatori, mediamente di 11-13.000 tonn., di cui l'ultima, la Dante Alighieri, intorno alle 20.000 tonn. Nel complesso Castellammare produce nel periodo 1870-1910 dodici delle trentuno grandi navi per la marina militare, equivalenti ad oltre un terzo del tonnellaggio nazionale. L’allestimento e l’armamento delle navi è praticata nell’Arsenale marittimo di Napoli. Durante il periodo fascista l’Arsenale marittimo di Napoli viene smantellato, ma i cantieri di Castellammare continuano l’attività. Nel 1939 passano alla Navalmeccanica, società del gruppo IRI. Completamenti rasi al suolo durante la seconda guerra mondiale, sono rapidamente ricostruiti, riprendono l’attività nel 1952 e presto si rivolgono prevalentemente alla costruzione di navi per armatori privati. Nel 1960 passano ad un’altra società IRI, la Fincantieri, che tuttora ne prosegue l’attività, su una superficie totale di 236.000 mq., di cui 78.000 coperti, con meno di 500 operai (meno della metà di quelli del suo periodo più fulgido, tra il 1875 ed il 1910). In età liberale sono molto attive due fabbriche metalmeccaniche private, site nella zona orientale di Napoli: la Guppy e C., fondata in epoca borbonica (1853) e la C. e T.T. Pattison, nata nel 1866. Sono dedite principalmente alla costruzione di piccole navi (tra cui torpediniere e cacciatorpediniere per la marina italiana), ma anche motori marini e macchine agricole ed industriali. Notevole è la loro espansione negli anni Ottanta: la Guppy, in particolare, con l’intervento di capitale inglese si trasforma in Società industriale napoletana Hawthorn-Guppy e si specializza nella costruzione di grandi apparati motore per navi. Dopo la legge speciale del 1904 la Pattison diventa società per azioni e risolve alcuni problemi finanziari con l’aiuto del Credito italiano, che contemporaneamente interviene anche nella Guppy, dopo l’abbandono della Hawthorn, mediante l’acquisizione da parte di una sua controllata milanese, che prende la denominazione di Officine Meccaniche navali. Nel 1910 viene fondata la società Bacini e Scali napoletani, con cantiere nella stessa zona.

Castellammare di Stabia, Cantiere navale

Sono tutte aziende che hanno una sensibile crescita produttiva durante la prima guerra mondiale e grossi problemi nel dopoguerra, per la mancanza o la riduzione di commesse pubbliche. Le salva l’intervento del Credito italiano, che ne acquisisce la maggioranza dei pacchetti azionari e le riunisce sotto la gestione delle Officine e cantieri partenopei. Ma la concorrenza degli altri cantieri italiani è spietata, le commesse statali pressoché nulle; negli anni tenta i tre cantieri napoletani alternano fasi di lavoro ridotto con periodi di chiusura completa. Frattanto, dal 1934, sono passati sotto il controllo dell’IRI (dal 1939 tramite la Navalmeccanica), che ha rilevato anche le aziende concorrenti e ridimensiona l’attività di quelle napoletane, relegandole alle sole riparazioni. Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1954, viene creata la Società esercizio bacini napoletani (SEBN), partecipata dalla Navalmeccanica, che gestisce i vecchi cantieri ed il grande bacino di carenaggio di proprietà dell’Ente porto di Napoli, attiva anche nei decenni successivi, ma limitatamente alle riparazioni navali.

Silvio de Majo

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