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L’impegno sociale delle donne nell’Ottocento: Teresa Filangieri

L’iniziativa filantropica delle donne a Napoli e in provincia, di antica tradizione, trova un nuovo rapporto con le istituzioni locali dopo l’Unità. Grande protagonista di questa stagione è Teresa Filangieri, figlia del generale e statista Carlo e nipote del grande illuminista Gaetano. Colta e intraprendente, Teresa innova profondamente la tradizione filantropica delle aristocratiche. Nata a Napoli nel 1826, nel 1847 sposa il duca Vincenzo Ravaschieri Fieschi. Fin da allora, l’attività caritativa, svolta in un contesto di relazioni private (di cui fa parte un’altra protagonista della società napoletana, Paolina Craven de La Ferronays) permea ogni istante della sua vita: al soccorso dei poveri è destinato il denaro raccolto negli spettacoli teatrali in cui Teresa si esibisce con gli amici; tra i domestici, figurano ragazzi e ragazze raccolti dalla strada; durante la villeggiatura nel villaggio di Castagneto, insieme al medico Calabritto, ne intraprende il risanamento. Dopo l’Unità, il suo impegno sociale trova un nuovo riscontro istituzionale. Tra i diversi compiti che le vengono affidati, ricordiamo l’inchiesta sui reali educandati commissionatale dal prefetto Mordini, l’organizzazione di cucine popolari durante il colera del 1873, e un’opera sostenuta dalla Deputazione provinciale per "accogliere, istruire, avviare nell’arte e nei mestieri ed altresì proteggere nel collocamento" le orfane. Le guerre coloniali crispine la vedono dirigente della Croce rossa napoletana; ma la sua realizzazione più ambiziosa e originale è l’ospedale per malattie infantili intitolato al nome della figlia Lina, prematuramente scomparsa. All’impegno pratico Teresa affianca lo studio e la scrittura: tra le sue opere la Storia della carità napoletana (1879) in quattro volumi e una memoria sull’ospedale Lina (Come nacque il mio ospedale) pubblicata nell’anno stesso della sua morte, il 1903. Una più giovane benefattrice napoletana, Adelaide Pignatelli, scriverà che a Teresa «si deve se oggi la donna, anche prima di chiamarsi femminista, ha potuto da noi entrare ad esercitar la beneficenza [e] dedicarsi alla propria cultura, senza incorrere nel sarcasmo altrui».

Laura Guidi

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