L'Italia unita - Servizi e infrastrutture - Porti, interporti, ponti e strade

Porti e arsenali dall’Unità ai primi del Novecento

Napoli. Arsenale e Palazzo Reale, fine Ottocento, cartolina, collezione privata
Napoli
Nel 1861 il porto di Napoli appare ben strutturato, diviso in due parti, quello militare tra il Molosiglio ed il Molo Angioino, e quello mercantile, dalla Im-macolatella al Mandrac-chio. Comunque già nel 1860 Giuseppe Garibaldi manifesta in un editto l’urgenza del suo miglio-ramento. Nei primi decenni postunitari ven-gono redatti molti pro-getti per il suo ripristino, da Errico Alvino, Giovanni Riegler, Giustino Fiocca e Domenico Cervati. Nel 1861 Napoli occupa una posizione importante nel campo degli arsenali e cantieri marittimi (vi lavorano 1.600 operai), anche per la presenza dello stabilimento di Pietrarsa e di quelli dei Guppy e dei Pattison che avevano dato vita all’industria metalmeccanica navale meridionale. Ma la sua prosperità, legata al protezionismo borbonico, crolla dopo l’Unità, con l’abolizione delle differenti tariffe doganali esistenti tra i vari stati preunitari e la creazione di un’unica tariffa per l’industria metalmeccanica. Comunque si continua a costruire alcune navi da guerra, ma mancano i macchinari per costruire le nuove navi ad elica in ferro. Viene intanto deciso di costruire l’arsenale militare di Taranto, inaugurato nel 1889, per cui quello napoletano è destinato a decadere. Viene demolito nel 1924 per aprire le due arterie di Parco Castello e via Acton e per valorizzare il Palazzo Reale e Castelnuovo. Infine negli anni ’30 viene costruita la Stazione Marittima. Sempre negli anni postunitari si discute l’ampliamento del porto commerciale, visto che quello militare va perdendo il suo ruolo. Nel 1871 viene inaugurata con grande clamore l’Esposizione universale marittima, affiancata al Congresso marittimo internazionale, in concomitanza con il Piano regolatore della città di Napoli, bandito quello stesso anno dal Comune.

Tramonto sul porto di Napoli

Ma solo con i cospicui finanziamenti governativi, stanziati il 15 gennaio 1885 dalla legge per il Risanamento, le opere di ampliamento e miglioramento delle strutture portuali hanno un avvio concreto. Con la legge giolittiana n. 351 dell’8 luglio 1904 “per il risorgimento economico della città di Napoli” è sancito come prioritario il potenziamento del porto, di cui si occupa Augusto Witting, amico di Nitti, nominato “Comandante del porto”: viene così prolungato il Molo di San Vincenzo, creata una nuova darsena orientale e si ha una divisione funzionale in tre bacini, angiporto, porto militare e porto mercantile. Il porto, secondo solo a Genova per volume di traffici marittimi, ha in questi anni il primato assoluto in Europa come scalo passeggeri, soprattutto emigranti nelle Americhe. Una delle opere più importanti e durature è quella di un moderno bacino di carenaggio ben attrezzato. Nel 1905 l’imprenditore metese Tommaso Astarita, grazie ad una concessione (valevole per 99 anni, fino al 5 luglio 2004) fonda la Società Anonima Bacini e Scali Napoletani, con 2.000.000 di lire di capitale, sottoscritto interamente da napoletani. Il cantiere, attrezzato con due bacini di carenaggio, uno grande e uno piccolo, ed uno scalo per la costruzione, è in grado di lavorare contemporaneamente alla demolizione, riparazione e costruzione dei grandi piroscafi.

 

Castellammare. Varo della nave San Giorgio, 1908, cartolina d'epoca

Castellammare di Stabia
Nel 1861 i cantieri navali sono concentrati a Genova e Napoli e non esistono cantieri per le nuove costruzioni in ferro. Nell’arsenale di Castellam-mare, dove lavorano 1.800 operai, continuano le costruzioni navali, specie dopo la sconfitta di Lissa, quando si decide di potenziare la marina militare. Nel 1876 viene varata la corazzata Duilio, per cui il cantiere compie un salto di qualità. Dagli anni ’80, data la crisi di tutta l’industria navale, si decide di ridimensionare anche l’arsenale di Castellammare, che comincia a produrre naviglio minore. Durante la prima guerra mondiale si ha una certa ripresa e nel 1920 viene varata la Caracciolo, la più grande nave costruita in Italia. Ma, anche se nel 1931 viene varata la nave scuola Amerigo Vespucci, nel 1939 lo Stato decide di vendere l’opificio alla società anonima Officine meccaniche e cantieri navali di Napoli, la Navalmeccanica, sorta per iniziativa dell’IRI, che quello stesso anno avvia un programma di riammodernamento. Durante la seconda guerra mondiale il porto di Castellammare è ridotto in macerie, per cui la Finmeccanica dal 1955 dà il via ad un piano di riassetto strutturale, continuato per tutti gli anni ’60 dall’Italcantieri, nella quale confluisce anche la Navalmeccanica di Castellammare. Ma la crisi energetica del 1973 stravolge tutti i piani, per cui la cantieristica entra in crisi, una crisi che dura per tutti gli anni ’80, colpendo pesantemente il cantiere di Castellammare. Solo dagli anni ’90 comincia una lenta ripresa.

 

Pescatori al porto di Pozzuoli (antica darsena) prospiciente il Rione Terra

Pozzuoli
Dopo l’Unità l’area flegrea vive un periodo di “riqualificazione” industriale. Nel 1869 a Pozzuoli viene fondato il cantiere navale e l’anno seguente se ne crea un altro a Baia per la riparazione delle navi. Poi nel 1885 apre una filiale della società inglese Armstrong Mitchell & C. di New Castle upon Tyne per la costruzione di navi da guerra e mercantili, che ai primi del Novecento è in sostanza uno dei pilastri dell’industria metalmeccanica navale. Comunque il porto di Pozzuoli, importante porto peschereccio per tutta l’età moderna, mantiene questa fisionomia anche nel Novecento, quando vi si può ormeggiare una diecina di barche da pesca (lampare o cianciole). Inoltre da fine Ottocento è, insieme a Napoli, il punto di imbarco per i traghetti che collegano le isole di Procida ed Ischia. Dopo il bradisismo del 1970, i progetti attuali tentano di riconvertire il porto in attracco turistico, mentre si sta riqualificando il “Rione terra”.

Maria Sirago

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