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La camorra storica e la Commissione per l’invio a domicilio coatto

Della bella società riformata, altrimenti detta onorata società, società dei guappi , “consorteria dei camorristi” o semplicemente Camorra, si legge soprattutto a partire dall’unificazione nazionale, allorché alla crisi di ordine pubblico del 1860-’61 segue una prima massiccia repressione di tale organizzazione presente tra le carceri e molti mercati di Napoli e provincia. Le ricche fonti amministrative e pubblicistiche post-unitarie concordano nel presentare come recente l’aggregazione sui dodici quartieri di Napoli di questa rete estorsiva. Tuttavia il fenomeno era già da tempo attestato nelle carceri e nella città se ne parlava già da fine Settecento, in particolare per il gioco d’azzardo praticato nelle bettole e dai militari “davanti Palazzo”. Al di là di una mitica discendenza da analoghe organizzazioni spagnole di età moderna, e pur considerando le analogie tra i poteri plebei riferibili ai lazzari già di memoria masanelliana e quelli della camorra ottocentesca, l’organizzazione risulta nascere a ridosso della riforma francese/ borbonica: alla ristrutturazione della polizia su dodici quartieri fa infatti da corrispettivo la setta, federata sugli stessi spazi. Gli aspetti cruciali del fenomeno a livello urbano sono: la strategia estorsiva diffusa per paranze su una miriade di attività legali ed illegali, il controllo della delinquenza comune e la cogestione dell’ordine nella città plebea con la stessa polizia, il collegamento con le carceri e d’altra parte la ritualizzazione e la gerarchizzazione che rafforzano il vincolo associativo. Ma, ben oltre gli spazi affollati della capitale, tanto il controllo dei mercati all’ingrosso e al dettaglio e la presenza nell’intermediazione agricola, quanto i conflitti ricorrenti con i camorristi della provincia indicano nella camorra di metà Ottocento un fenomeno urbano-rurale articolato e fluido. Esso disegna già con chiarezza i confini di una sub-regione, la ricca Campania felix, che va da Caserta a Nola, tutt’oggi densa di uomini, merci e delinquenza camorrista.

La Commissione per l’invio a domicilio coatto
La cooptazione dei camorristi nella guardia cittadina del luglio 1860 viene frenata, già a ridosso dei plebisciti dell’ottobre, per iniziativa di Silvio Spaventa, prefetto di polizia della luogotenenza, ma la repressione del fenomeno non è operazione facile. Dopo i numerosi arresti attuati dalle luogotenenze del 1861, le nuove autorità liberali si orientano ad utilizzare l’invio alle isole di relegazione, già presente nella strumentazione di polizia borbonica. La vera stretta repressiva si abbatte sulla camorra urbana a partire dall’autunno del 1862, allorché “immense traduzioni” – come si esprime una fonte di polizia archiviata nelle carte della Prefettura presso l’Archivio di Stato di Napoli – poterono partire all’interno dello stato d’assedio proclamato contro i garibaldini nella crisi di Aspromonte. Nell’estate del 1863 quindi Silvio Spaventa, ora funzionario del Ministero degli Interni di Torino, fa inserire i camorristi tra le persone sospette passibili dell’invio a domicilio coatto con misura extragiudiziaria, secondo la legge Pica apprestata per “la repressione del brigantaggio e della camorra nelle province infette”. Il virulento contropotere della capitale è quindi affrontato come il toro per le corna: la Commissione istituita per la provincia di Napoli, presieduta dal prefetto e composta da questore, procuratore generale ed esponenti della deputazione provinciale, nel 1863-’64 inviò a domicilio coatto, nelle numerose isole vicine e lontane, circa 850 camorristi dalla città e 200 dal resto della provincia. La repressione viene condotta con impegno, contro un fenomeno delinquenziale percepito, anche a livello ideologico, come incompatibile con le leggi e la società civile di uno Stato di diritto. Le fonti ben evidenziano la rete di poteri territoriali esistente tra le carceri e molti mercati sia legali sia illegali. Le ricche informazioni di polizia che accompagnano i dossier vedono prevalere nei dodici quartieri di Napoli la componente estorsiva e un’organizzazione prettamente delinquenziale; nella provincia invece sembrano più frequenti le famiglie impegnate in attività di contrabbando ed intermediazione nei mercati urbano-rurali. La comminazione extragiudiziaria del domicilio coatto, che negli anni delle leggi eccezionali si protrae anche per dieci anni, resta un caposaldo del controllo di camorra e mafia durante tutta l’età liberale, e costituisce per molti criminali l’unica pena scontata. Essi vengono infatti per lo più assolti in sede penale per i reati camorristi anche a causa della diffusa omertà del milieu.

Marcella Marmo

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