L'Italia repubblicana - La fabbrica

La fabbrica a “misura d’uomo”

“L’operaio alla macchina o al banco anche a Santa Maria sta fermo nello stesso anello che lo terrebbe a Torino, in Germania. Fuori sono quelli che secoli di storia e di folklore li hanno fatti, intelligenti e troppo fantasiosi, dignitosi, ma disordinati; tutti i luoghi comuni intorno al mezzogiorno mi tornano a galla, veri. Un popolo che ama cantare. Badano al pregiudizio più che alla realtà, al lusso più che al necessario; non hanno soldi, ma non li sanno spendere. Ai fatti preferiscono l’invenzione delle parole. La storia li giustifica pienamente, avendoli deformati, ma la giustificazione storica non riscatta oggi, domani, perché il male è male anche se determinato da una ragione; mentre si vive, su questa ragione non si può riflettere ogni momento. Il male diventa colpa, razza. Invece in fabbrica miglioriamo, loro e noi. Ci comprendiamo e ci assomigliamo, uniti dalla stessa produzione, cioè dalla stessa sorte. Quando si sta in officina ognuno al proprio posto, si smorzano i loro fuochi pirotecnici e le nostre sciocche, fredde presunzioni si riscaldano. Lo stabilimento fa gli uomini uguali, asciuga gli umori, riduce i vizi del carattere. Gli organizzatori settentrionali si tolgono dal capo il cretino casco coloniale, con cui sono scesi alla stazione di città, e cominciano a capire. C’è ovunque uno stesso silenzio di persone che corrono dietro al tempo, e questa corsa costringe certamente alla schiavitù, ma mai come nel nostro stabilimento compare l’altra faccia di questa schiavitù necessaria: la dura dignità, la costruzione giornaliera di una via di libertà”
(Ottiero Ottieri, Donnarumma all’assalto, Milano, Bompiani, 1963)

Olivetti, Pozzuoli (NA)
Tratto da: Ezia Storelli, Rassegna del lavoro campano, Ipsi Pompei 1962

Con l’azienda pilota di Pozzuoli, inaugurata nel 1955, sembra concretizzarsi anche nel territorio napoletano il sogno di Adriano Olivetti di una fabbrica modello, progettata a “misura d’uomo” ove sia finalmente assicurata dignità culturale e civile al lavoro manuale, coinvolgendo impiegati, operai, collaboratori esterni in un progetto di paziente costruzione dal basso, in una condivisione di fini e in una prospettiva unificante. È lo scrittore, addetto alla selezione del personale tra il 1955 e il 1957, a dover verificare la distanza esistente tra sogni e reali possibilità di riscatto per quella popolazione di uomini e donne che puntualmente si affolla alle porte dello stabilimento-miraggio dell’Olivetti, in preda ad un’ansia di lavoro, folle e ragionevole insieme. Se la locale, eccessiva disoccupazione ridicolizza gli sforzi della ragione di cui la aggiornata psicotecnica è figlia, giungendo a mettere in crisi i criteri stessi di chi è chiamato a giudicare, accettare e respingere; sarà poi la disciplina del lavoro, faticosamente conquistata all’interno della fabbrica ed assimilabile ad una sorta di etica personale, a lasciar sperare in un possibile punto d’incontro tra culture finora distanti. Divenuto interprete delle contemporanee contraddizioni del mondo industriale, Ottieri con Donnarumma all’assalto registra i modi grotteschi e paradossali attraverso cui maturerà l’esperienza della modernità per quanti ne erano stati finora esclusi e quella del crollo dei preconcetti per gli intellettuali-tecnici che, avventurandosi in nuovi territori, tanta fiducia avevan riposto nell’orgoglio della propria civiltà settentrionale.

Caterina De Caprio

Olivetti, Pozzuoli (NA)
Tratto da: Ezia Storelli, Rassegna del lavoro campano, Ipsi Pompei 1962
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