L'Italia repubblicana - Attività economiche e produttive - Industria

L’industria tra ricostruzione e miracolo economico (1943-1961)

Prima dello scoppio della seconda guerra mondiale a Napoli e provincia è presente il nucleo industriale più importante del Mezzogiorno ed il quarto del paese, anche se molto lontano dai livelli raggiunti dal triangolo settentrionale Torino, Genova, Milano. Grandi sono però, rispetto al Nord, i danni di guerra: causati dai bombardamenti alleati e soprattutto dai guastatori tedeschi nella seconda metà di settembre del 1943. Al momento della ripresa produttiva l’industria meccanica ha tre quarti degli occupati in meno, il porto è totalmente distrutto, come gli altiforni dell’Ilva di Bagnoli; in difficoltà estrema sono anche le tradizionali industrie della pasta e delle conserve alimentari. La SME può assicurare solo la metà della produzione elettrica.

Fiat, sez. Officine di Napoli
Tratto da: Ezia Storelli, Rassegna del lavoro campano, Ipsi Pompei 1962

Lo sforzo per la ripresa industriale è degno di nota, anche se bisogna necessariamente puntare prima sulla ricostruzione edilizia e delle infrastrutture. Alla fine degli anni Quaranta la ripresa è favorita dagli aiuti del piano Marshall, da agevolazioni fiscali, dalla riorganizzazione dell’IRI e dalla nascita della Finmeccanica. Prendono corpo sei aree industriali maggiori: orientale, occidentale (fino a Baia), nolana (incentrata su Pomigliano d’Arco), Torre Annunziata-Castellammare, e due nuove aree in prima espansione: S. Giorgio-Cercola-S. Anastasia e Secondigliano-Casoria.
I settori principali sono l’elettrico,  il metalmeccanico e metallurgico, il tessile, quello chimico e quelli tradizionali dei molini e pastifici e della concia-guanti-scarpe. Nel 1951, secondo il primo censimento dell’Italia repubblicana, Napoli è la prima realtà industriale del sud; ma solo il 5,6 % della popolazione provinciale lavora nell’industria contro il 25% di Milano, il 23% di Torino e il 14% di Genova. Comunque il processo di ricostruzione è completato, la produzione d’anteguerra é raggiunta e in qualche settore superata. Ma c’è una notevole disoccupazione,  la ricostruzione  non è stata accompagnata da una riconversione, da un disegno complessivo di sviluppo.

Fiat, sez. Officine di Napoli
Tratto da: Ezia Storelli, Rassegna del lavoro campano, Ipsi Pompei 1962

Nel decennio successivo anche la provincia di Napoli partecipa al miracolo economico italiano, ma con molte incertezze e problemi. Non l’aiuta la creazione della Cassa del Mezzogiorno (1950), che non compie un intervento immediato sull’industria, ma punta su infrastrutture e agricoltura. Nascono una quindicina di importanti nuove fabbriche (tra cui la Cementir a Coroglio, l’Italtubi e la Lepetit a Torre Annunziata, la Rodhiatoce a Casoria, la Microlamba a Baia), ma altre sono in difficoltà, talvolta per sovrapproduzione; nel siderurgico e nel meccanico spesso manca il coordinamento tra le produzioni. Tuttavia l’industria pesante si avvantaggia dell’azione della Finmeccanica che acquisisce molte fabbriche di Castellammare, Napoli, Pozzuoli e Pomigliano, mentre intervengono anche le grandi aziende private settentrionali: la Fiat, con un piccolo stabilimento a Napoli, e soprattutto la Olivetti a Pozzuoli.
Un importante ruolo viene svolto dalla sezione credito industriale del Banco di Napoli, per trasformazioni e ammodernamenti, e dall’Isveimer, per nuovi impianti: nel complesso tra il 1947 e il 1957 i prestiti erogati dai due istituti sfiorano i 40 miliardi. Comunque rimane il grande divario con il Nord. Rimane il problema della mancanza di un vasto tessuto di imprese di medie dimensioni e di una integrazione tra l’apparato industriale avanzato e quello tradizionale. Inoltre l’industria napoletana  è troppo pubblica, assistita, fuori mercato. Imposte, servizi insufficienti, arretratezza dell’ambiente sociale, lentezza della burocrazia scoraggiano gli imprenditori privati a investire nel napoletano, mentre le banche di credito ordinario preferiscono finanziare solo le grandi industrie.
Nonostante questi problemi dal censimento industriale del 1961 viene fuori un forte incremento della forza lavoro e delle unità produttive; è aumentato il coefficiente di industrializzazione, che però resta molto lontano da quelli di Milano, Torino e Genova.

Silvio de Majo

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