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La canzone napoletana dal dopoguerra a oggi

Aurelio Fierro
La seconda guerra mondiale segna profondamente la città di Napoli ed anche la canzone non sfugge alla tragicità degli eventi. Munasterio e’ Santa Chiara è la testimonianza più struggente di quel momento ma, come sempre, Napoli riesce anche a sorridere nei momenti più bui: Tammurriata Nera è l'esempio di come l'umorismo partenopeo sia sempre pronto ad emergere, anche di fronte a fatti tragici. Gli anni Sessanta costituiscono il periodo d'oro del Festival della canzone napoletana, ma corrispondono anche ad un’epoca di fenomeni innovativi: Peppino di Capri opera una "fusion" fra melodia napoletana e ritmi di altre culture musicali, imponendosi all'attenzione di critici e pubblico; Renato Carosone mette a disposizione le sue esperienze di pianista classico e di jazzista, le fonde con ritmi africani e americani e crea una forma di macchietta, ballabile e adeguata ai tempi. Tramontato il Festival, negli anni Settanta, la canzone napoletana si adegua alle esigenze del tempo, vengono ripresi ed attualizzati i temi della sceneggiata. Mario Merola, pur rimanendo legato alla canzone tradizionale, è il principale interprete di questa nuova tendenza. Intanto il fermento musicale dell'epoca è avvertito anche da nuovi autori come Alan Sorrenti e Pino Daniele, che daranno un'impronta nuova alla musica partenopea. Il periodo che porta alla luce il fenomeno dei cosiddetti "cantanti neomelodici" corrisponde agli anni Ottanta. Sono spesso giovani interpreti che tentano di seguire le orme di Nino D’Angelo e Mario Merola, esibendo canzoni impostate musicalmente su un mix di melodia partenopea e musica da hit parade.

 

Marina Mayrhofer

 
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