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La metalmeccanica nell’Ottocento preunitario
L’industria metalmeccanica ha un’importante crescita nella provincia di Napoli già prima dell’Unità d’Italia, grazie soprattutto all’impegno diretto dello Stato. Vanno segnalati innanzitutto quattro stabilimenti destinati alla produzione di armi: l’Arsenale di artiglieria e la Fonderia, ubicati a Napoli nel fossato di Castelnuovo, la Fabbrica d'armi di Torre Annunziata, fondata a metà Settecento da Carlo di Borbone e l’opificio della Real montatura d'armi di Napoli.
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Produzione Real Fabbrica di armi bianche |
Polveriera e fabbrica d'armi a Torre Annunziata |
Negli anni ’40 queste fabbriche, oltre a produrre per l’esercito napoletano, riescono ad esportare all'estero i propri cannoni; negli anni ’50 la produzione aumenta ulteriormente, perché Ferdinando II porta avanti una politica di riarmo. Particolarmente attiva è in questo periodo la Fonderia, che, grazie ai nuovi forni Winkilson e all'impiego di motori a vapore, passa dalla realizzazione degli arcaici cannoni in bronzo a quelli in ferro. Di rilievo sono anche i progressi della fabbrica d'armi di Torre Annunziata, che utilizza nuove macchine utensili e aumenta sensibilmente la produzione di fucili e delle armi da taglio. Importanti sono i progressi delle due fabbriche, risalenti alla fine del Settecento, gestite dalla marina militare: il Cantiere navale di Castellammare e l'Arsenale marittimo di Napoli, dove viene effettuato l’allestimento e l’armamento delle navi fabbricate negli impianti stabiesi. Negli anni ’40 e ’50 i cantieri di Castellammare, ingranditi e rinnovati, arrivano a costruire alcune delle navi a vapore della nuova flotta borbonica. Lo stabilimento statale tecnologicamente più avanzato e anche l'unico a non avere una produzione esclusivamente bellica è la fabbrica di Pietrarsa, fiore all'occhiello della politica di Ferdinando II, mirante a incrementare il prestigio della nazione e della corona e a raggiungere l'autarchia produttiva. Proprio per questi motivi però è caratterizzata da una gestione, che non riesce a contenere i costi di lavorazione, troppo superiori a quelli di analoghe produzioni estere. Tuttavia la fabbrica pian piano riduce il gap tecnologico con l'Inghilterra e con gli altri paesi più industrializzati ed arriva a costruire molte delle locomotive in attività nelle ferrovie del paese. L’industria metalmeccanica nell’Ottocento preunitario è caratterizzata anche dalla fondazione di fabbriche da parte di imprenditori e tecnici stranieri, arrivati nel Regno delle Due Sicilie tra gli anni ’30 e gli anni ’50. Ricordiamo la Luigi Oomens, che risale al 1834, la fratelli Delamorte (1847), e soprattutto la Zino ed Henry, fondata nel 1833. Questi opifici – tutti ubicati a Napoli – sono dediti principalmente alla produzione di macchine per l'industria tessile e per le cartiere, nonché alla fab-bricazione di oggetti di uso domestico. Mentre le prime due restano su modesti livelli, la terza si espande notevolmente negli anni ’50, grazie all’intervento di un ricco capitalista di origine calabrese, Gregorio Macry, e si trasforma in Macry ed Henry. Gli imprenditori metalmeccanici stranieri con le maggiori conoscenze tecniche sono gli ingegneri inglesi Giovanni Pattison e Thomas Richard Guppy, che nel 1853 fondano nella zona orientale di Napoli una fabbrica (intestata a Guppy) rivolta a varie produzioni metalmeccaniche, tra cui scafi di navi in ferro. Con questa azienda compie i primi passi quell’azienda metalmeccanica napoletana che avrà una grande espansione negli anni ’60-’80.
Silvio de Majo |
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