Il Regno delle Due Sicilie - Attività economiche e produttive - Agricoltura

Il sistema agrario della provincia di Napoli: un documento

Il sistema agrario, il tipo di coltivazioni prevalenti, il rapporto tra la proprietà e la conduzione della terra presenti nella provincia di Napoli nell’Ottocento borbonico emergono dalla descrizione riportata da un volume pubblicato nel 1845 in occasione del secondo congresso degli scienziati italiani: Napoli e i luoghi celebri delle sue vicinanze.

[In provincia di Napoli] «son bellissimi e preziosi poderi, in che l'occhio mai non è attristato all’aspetto di terre abbandonate per infecondità, o incolte per riposo. Quivi […] il favore del clima ed un ben consigliato metodo agrario fruttano all’agricoltore sino a tre ricolti ogni anno. Alle graminacee si fan succedere le piante a radici carnose, a queste le civaie, o le piante utili all'industria manifattrice, senza che si trascuri il tempo che corre in mezzo a tali colture, dimanierachè traesi partito dalle praterie artefatte, serbando in vigore i campi con soversci vegetabili, o con generosi ingrassi animali. Nell’agro napolitano si adoperano varie rotazioni campestri a seconda de’ luoghi e delle circostanze. La vicenda più comune è la biennale con alternativa di ricolti, di cui recheremo due esempi. I. Nel primo anno, a cominciar da settembre, si fa semina di foraggi, ciò che qui dicono mettere il pascone; il qual si ha da semi di rapa, lupino, fava e trifoglio incarnato, sia mescolati insieme, sia separatamente, e serve al bestiame per pascolo sul posto, o per ministrarne a stalla: quindi si usan per soverscio, nelle nostre campagne detto insalima, i residui di quelle piante, affin di apparecchiare il terreno alla semina in primavera del formentone, inframmettendovi fagiuoli, zucche, patate, melloni, poponi, piselli, ceci ed altro. Una parte del fondo serbasi sempre al frumentone quarantino per foraggio verde estivo o al bestiame sino a tutto il mese di agosto. Nel secondo anno si fa coltura di frumento.

II. Dopo l'uso del mentovato pascone, tra febbraio e marzo se ne inseriscono gli avanzi, ingrassando il campo con abbondanti letami di stalla, mondiglie di strade e calcinacci in polvere: ciò fatto, si semina in primavera la canapa o il lino, detto anche lino fino, ove il comporti la qualità e la postura del suolo. Nel secondo anno si coltivano i cereali più adatti alla terra. Altra tisitata rotazione è la quadriennale, e si pratica così: nel primo anno, frumento; nel secondo, grani di primavera, preceduti dal pascone; nel terzo, altri grani d'autunno, quali l’avena o l’orzo; ed apparecchiato di nuovo il campo con ingrassi animali, o vegeto-animali, nel quarto anno, canapa, o lino nelle terre adatte e scoperte, dette scampie. Ancora si fan vicende di più lunga durata, ma sempre su’ metodi or notati, alternando le piante di varia natura, e concimando i campi, sia con soversci vegetabili, sia con ingrassi animali. Nondimeno ci ha qualche varietà di coltivazione ne’ poderi suburbani arbustati; e si vuol notare che tutti essi, e gran parte dell’agro campano son guerniti di viti ad arbusti e d’ogni maniera di alberi fruttiferi. Quivi si usa la coltura del lino autunnale, cioè a taglio grossolano, in luogo della canapa. […] Coltivansi ancora con buon successo la lenticchia, la saggina, la veccia, la carota; tra le piante a semi papposi prova ottimamente il cotoniere erbaceo, tra le oleifere il ricino, e tra le tintorie la robbia. […] Altra specialità notevole nella nostra agricoltura son gli orti. Per orto intendono i campagnuoli napolitani la stessa cosa di quei di Toscana; se non che qui si ha pure la voce padule, onde il contadino vuol significare uno special orto che dà non più che due ricolti all'anno. Gli orti sono in prossimità della metropoli, da oltre Portacapuana fin presso la Volla; le paduli si distendono per la marina dal ponte della strada ferrata in poi. L’irrigazione è varia in questi luoghi. Nelle pianure giù dal Pianto, e in altri siti ove non ci ha canal di sorta, e che per altro le acque abbondano alla profondità di un quindici palmi, si cavano larghi pozzi, d’onde con un semplicissimo meccanismo di secchie l’acqua è attinta per il facile movimento di due ruote, una dentata e l’altra d’ingranaggio, a cui lavora un somiero o un mulo bendato, ed è versata in una molto larga vasca, da cui per mezzo di alcuni canaletti va per solchi per porche e per quadri, siccome intende l'ortolano, che con una lunga marra ne governa il corso. […] Le paduli fanno due raccolte, come dicevamo, una invernale, ed è di cavoli fiori; l’altra estiva, ed è di pomidori. Tosto che il primo frutto s’è cavato dalla terra, si letama con stabio cavallino, si lavora e si affidano le tenere pianticelle della seconda produzione, le quali, perché non patiscano per le intemperie e l’aria marina, si ha cura di proteggerle con cocci inchinati, o con gli sterpi del ricolto precedente. Ciò fatto , intorno ad esse l’ortolano esercita la zappetta con ogni diligenza affin di mondarle dalle male erbe. Non così gli orti, da cui la solerzia ed il lavoro del contadino trae fino a cinque ricolti 1’anno, e ne’ quali non ci ha ragion di vicenda, imperciocchè la terra di continuo smossa, l’acqua che mai non manca ed i concimi producono in tutto l’anno ogni maniera di ortaggi. Qui si usa per ingrassi ciò che mandano i quadrupedi; ma specialmente si adopera in letame, mischiato con la paglia, le spazzature delle vie e le quisquilie delle case, tutto imbevuto e macerato da orine ed acque stagnanti. […] La vigna, proprio quella che per tale s’intende in Toscana, oltre de’ colli di Pozzuoli e delle isole, si educa principalmente in tutto il territorio che è sul dorso del Somma e del Vesuvio, fin dove concedono le lave vulcaniche. […] Veramente ivi non ci ha vigna assoluta: gli albicocchi , i peri ed i susini su’ fondi vesuviani, le uve manciative, i ciliegi, i peri, i meli ed altri alberi fruttiferi ne’ poderi sommesi son mischiati alla vite. Ciò arreca che la qualità de’ vini non è quella perfettissima che si potrebbe ottenere, e che di fatto ottiene alcun saggio colono in Resina, che, geloso del suo viteto, raccoglie gli alberi da frutta. […] L'olivo ed il noce son coltivati, ne' luoghi più prossimi a noi, principalmente sopra i subapennini di Vico e di Sorrento. Nel piano di quest'ultima contrada coltivasi anche in ispezialtà e con più frutto l'arancio. […]

L'arancio e gli agrumi si propagano per margotti. Non si potano egualmente queste maniere di alberi: agli aranci si leva via alcun ramo secco, e que' succhioni che spuntano tra le forche de' grossi rami più prossimi al tronco, e si ha cura di tenerli spessi, perciocché la pratica sorrentina vuole che quanto sono più folti , tanto meglio allegano e reggono il frutto. Il noce si lascia senza usar ferri , quando non sia per ispogliarlo del seccume. Non così dell'ulivo, il quale è costantemente potato ogni quattro anni, e più ne' rami vecchi, sia perché, venendo a non molta altezza, sopportasse senza rovina l'impeto do' venti meridionali ; sia perché, educandosi piuttosto raro, schivasse i danni delle nebbie. Principal pometo nelle circostanze di Napoli è il terreno che da Capodimonte distendesi in quel di Aversa: ma non abbiasi a credere che i luoghi dianzi nominati non ci provveggano di frutta estive ed autunnali; ché, invece, di molte varietà di ciliege, pere e mele serbatoie vengon qui dalle isole e terre che più traggono ad oriente. Su i poggi e le pianure a settentrione della città provano meglio i peschi, i pesconoci, i pescocotogni ed altre specie di pomi, non meno che i meli ed i susini staterecci. I quali provengono da seme, si annestano più a marza, che ad occhio, e leggermente si potano ogni anno, sia qualunque il ricolto. La lor vita ordinariamente non va innanzi ad un decennio: il perché dopo questo spazio di tempo son quasi tutti rinnovati. Il frutto di sopra non impedisce che il colono tragga altro profitto dalla terra. La quale, aiutata da opportuni lavori e da ingrassi vegeto-animali, è adatta specialmente al gran turco, alla canapa, a' fagiuoli, alle fave ed a' piselli. Gli strumenti rustici di che più si fa uso ne' prossimi campi sono: l'aratro semplice , cioè quello guernito d'un vomero di ferro foggiato a modo di cono vuoto, con la punta aguzza ed alquanto prolungata; ed il cui ceppo quasi cilindrico è ornato di due orecchie o versatoi fissi di legno; la zappa con ferro di varie forme o dimensioni; la vanga col ferro quadrilungo, o fatto a punta; la marra, ch'è una vanga più grande e più pesante di quella comune, e che ha dimensione maggiore dell'ordinaria; il sarchiello, che qui dicono zappullo, che ha il ferro somigliante a quello della zappa ma assai picciolo, col taglio talora diritto, benché il più delle volte convesso, ed ha il manico come quello della zappa; l'erpice, detto anche mangano, composto di tre travicelli paralleli distanti fra loro da un palmo e mezzo a due, ed insieme uniti mercé altri travicelli posti per traverso anche parallelamente, così che la figura di esso è quadrata, o rettangolare; ancora, ne' primi o secondi travicelli son conficcati di mezzo in mezzo palmo denti di ferro o di legno; da ultimo il cilindro, per non dir de' ferri minori, il quale difatti è un cilindro di legno, di pietra, o di ferro, lungo da tre a quattro palmi del diametro di un palmo e più. Infine gli animali di cui facciamo uso ne' lavori agrari sono il cavallo e l'asino, specialmente ne' luoghi collineschi delle circostanze del Vesuvio, e da Gragnano in tutto il promontorio sorrentino. Il bue mena l'aratro in tutt'i poderi delle pianure campane, ed è allevato per ogni sorta d'industrie agricole. E ne' luoghi pantanosi traesi partito anche dal bufalo, come ne' paludi di Patria e ne' terreni più acquitrinosi in quel di Acerra e di Cardito, dove pasturando a pingui pascoli volge a sè le sollecitudini del contadino sia per l'industria ed il lavoro de"campi, che per il trasporto delle carra».

Silvio de Majo

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