Ritratto di Murat
"Egli [Gioacchino] era prode, generoso, fornito di una certa perspicacia, ma aveva un cuore burrascoso e poca politica di affari. Neppure le conoscenze acquistate avvaloravano la sua mente; la natura gli aveva negato la calma, gli aveva dato una grande immaginazione e privatolo di lumi, e, impegnandosi in disegni straordinari e ineseguibili, suggeritigli da quella, non riceveva soccorso da questi che solo avrebbero potuto diminuirne le difficoltà. Educato nella rivoluzione e nella corte di Napoleone, non conosceva né gli uomini né i gabinetti, e in tal riguardo né il passato, né l'avvenire entravano mai nei suoi calcoli. La sua volontà era perplessa, perché contraddittorie le cose che egli voleva e perciò restava paralizzata. Gli mancava affatto il coraggio morale: le più picciole cose, in bene o in male, lo agitavano fortemente, e a nessuna cosa dava la giusta importanza. Grande opinione aveva di sé governando con ricompense e non con castighi, cercando di contentare gl'individui nel particolare, ma negligendo il generale".
(Luigi Blanch, Colpo d'occhio sulla campagna di Napoli del 1815, in Benedetto Croce (a cura di), Scritti storici, Bari, Laterza, vol. I, 1945).
Il ritratto del Murat, tracciato nel 1819 e a lungo rimasto inedito, svela nel Blanch, un ufficiale napoletano che aveva militato con i francesi, prima in Russia, poi nella campagna del 1815, il desiderio di fornire un giudizio serio ed imparziale sull'uomo e sulle imprese da lui compiute, molto fidando su sé e su circostanze apparentemente ritenute favorevoli. Gli errori commessi sono giudicati con spregiudicatezza dallo storico che sembra reputare inevitabile la finale sconfitta dell'ambizioso sovrano e quindi la cessione del regno con la convenzione di Casalanza che, a suo dire, lasciava i «vinti non oppressi e i vincitori contenti».
Caterina De Caprio
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