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Il Regno delle Due Sicilie - Attività economiche e produttive - Economia marittima

I successi della marina mercantile napoletana nell’Ottocento preunitario

A partire dall’età della Restaurazione la marina mercantile del Regno delle Due Sicilie si afferma definitivamente come una delle più vitali del Mediterraneo: dal 1818 al 1850 il numero delle imbarcazioni si triplica e il tonnellaggio cresce due volte e mezzo, superando quello di tutte le altre regioni italiane. Se l’incremento interessa molte province del Mezzogiorno per quanto attiene al naviglio da pesca e di cabotaggio, che si esercita lungo le coste e nell’ambito dei mari limitrofi (Tirreno, Adriatico e Ionio), solo le marinerie della Sicilia e del golfo di Napoli, attrezzate con bastimenti d’altura, si inseriscono sulle più lunghe rotte mediterranee ed oceaniche.
Specchio della Marineria Mercantile dei Reali Domini di qua del faro al 1
luglio 1833,  in “Annali civili  del Regno delle Due Sicilie”, a. II, fasc. VII., gennaio-febbraio 1834.

Gli armatori napoletani nel 1833 controllano il 44% di tutta la flotta mercantile delle Due Sicilie (il 60% circa se si fa riferimento alle sole province continentali), e nel settore delle imbarcazioni di stazza superiore alle 200 tonnellate, essi gestiscono il 94% del totale. Meta e l’isola di Procida possiedono lo stesso numero di bastimenti atlantici (54) di tutta la Sicilia. Complessivamente sono quasi 20.000 gli abitanti del golfo imbarcati come marinai su questa flotta, oltre agli addetti nei cantieri navali e nelle numerose attività dell’indotto (maestri d’ascia, fabbri, calafati, velai, cordai). La secolare dipendenza del commercio del Regno dal naviglio straniero (genovese, ma anche francese, olandese, inglese e danese) proprio in questi anni viene ribaltata: oramai la flotta mercantile meridionale trasporta una quota delle proprie esportazioni ed importazioni ben maggiore di quella portata da altre bandiere. Inoltre i miglioramenti conseguiti sul piano delle costruzione navali e dell’istruzione nautica mettono in grado gli equipaggi napoletani di far concorrenza alle ben più agguerrite marinerie dell’epoca anche sulle redditizie rotte che collegano il mar Nero e il Levante mediterraneo con il mar del Nord, con il Baltico e con i porti atlantici delle Americhe. Protagonista di questa performance nel commercio marittimo a lunga distanza non è la capitale, la cui popolazione sembra poco propensa alla dura vita sul mare, quanto piuttosto i vivaci centri rivieraschi che s’affacciano sul golfo; si distinguono particolarmente Procida e i paesi della costiera sorrentina (Vico Equense, Castellammare di Stabia e, soprattutto Meta e Piano di Sorrento); a Torre del Greco la pesca e la lavorazione del corallo a metà secolo impiegano oltre 700 barche e quasi 5.000 marinai. Analogamente a quanto avviene a Genova e a Trieste, anche nel napoletano tra il 1818 e 1831 sorge una decina di società di assicurazioni e cambi marittimi, allo scopo di ripartire i rischi e reinvestire una parte dei profitti. Il valore delle azioni, in taluni casi, raddoppia, ma l’insieme dei capitali non riesce a soppiantare la forza finanziaria delle altre società, italiane e straniere che, appena si manifesta il vigoroso sviluppo della flotta meridionale, aprono tempestivamente le loro filiali a Napoli.
Pianta del porto di Nisita (sic!) in “Annali civili  del Regno
delle Due Sicilie”, a.XVIII, fasc. XXXV, settembre-dicembre  1838, pp. 5-25.

Non meno interessanti sono i precoci inizi della navigazione a vapore. Sicuramente, come altrove, è il potere politico a incoraggiarne lo sviluppo, anche per ragioni militari e di prestigio. Proprio a Napoli la navigazione a vapore fa la sua prima apparizione nel Mediterraneo con il varo nel 1818 del piroscafo Ferdinando I, che il 27 settembre 1818 comincia il viaggio che lo porta a Livorno, Genova e Marsiglia. Tra le iniziative più durature vanno comunque segnalate la Società per Navigazione del Golfo con tre vaporetti e la Compagnia di navigazione a vapore della Due Sicilie. Quest’ultima, costituita come società per azioni sin dal 1840, incontra il favore dei grandi investitori partenopei (nobili, banchieri e commercianti napoletani e stranieri) e al momento dell’unificazione gestisce una discreta flotta di piroscafi: negli anni ’50, con ben 6 piroscafi, assicura i collegamenti nel Tirreno (Genova e Marsiglia) ed in Adriatico (Trieste). Disavventure ed incidenti, unitamente ad un eccezionale aumento dei prezzi del carbone dovuto alla guerra di Crimea (1854-1855), provocano una grave crisi all’assetto finanziario della Compagnia, di cui si viene a capo solo dopo due anni di sacrifici. Intanto la marineria a vela del golfo, al suo apice, al servizio di francesi e piemontesi per il trasporto delle truppe e dei rifornimenti nel mar Nero, accumula grosse fortune e si inserisce nel lucroso traffico del grano russo verso la Gran Bretagna e gli Stati Uniti.

Francesco D’Esposito e Biagio Passaro

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Bibliografia