L'età napoleonica - Attività economiche e produttive - Economia marittima

La pesca: tecniche e imbarcazioni

Dopo la promulgazione della legge eversiva della feudalità (1806) sono aboliti tutti i privilegi feudali, anche quelli gravanti sulla pesca, che non avevano permesso lo sviluppo di tale settore. Dal periodo francese si ha così un certo incremento del ceto dei pescatori, anche se molti degli antichi conflitti rimangono irrisolti per tutto l'Ottocento. Nel contempo, anche se si continuano ad usare gli antichi "sistemi", si provvede a promulgare una specifica legislazione per la pesca, compendiata nel regolamento del 1847.

Pescatori napoletani, cartoline

In tutto il territorio campano la pesca è sempre stata fiorente: a ogni tipo di pesca corrisponde una determinata imbarcazione. Per la pesca del corallo a Torre del Greco si costruiscono delle particolari feluche, dette "coralline", sulle quali viene montato un "ingegno" a forma di croce greca su cui è posta una rete che "strappa" i rami del corallo. Per la pesca con vari tipi di rete si usano di solito le feluche o i "gozzi". Nel territorio di Gaeta, pare sia stata inventata la pesca "alla Gaetana" o coi "paranzelli", effettuata con una rete a strascico: si usano due paranzelli che navigano allineati e tirano la rete della "sciabica".

M. H. Bayard, Paranzelli, incisione, collezione privata, foto Claudio Romano

La pesca è fiorente anche a Pozzuoli, Procida, e nella Penisola sorrentina, dove si usano le "lampare", o cianciole. Per la pesca notturna del pesce azzurro si usano imbarcazioni (di solito "gozzi") con bracieri posti a prua, sostituiti in epoca contemporanea da potenti fanali. Nella stessa città di Napoli il borgo di Santa Lucia fino a fine Ottocento è un fiorente mercato del pesce ed i suoi abitanti, i luciani, sono stati sempre abili pescatori, con i "lanzaturi" (fiocine), le "sciabiche" (reti a strascico), i tramagli, le "lampare" e vari altri sistemi. Un sistema di pesca altamente specializzato, che prevede un cospicuo impiego di capitali, regolamentato nella normativa feudale, è la pesca al tonno.

Consalvo Carelli, Napoli. Posillipo. Palazzo Donn'Anna. Pescatori con la “sciabica”, collezione privata, in M. A. Pavone, Napoli scomparsa nei dipinti di fine Ottocento, Napoli 1991

Nel corso del Settecento in tutto il golfo di Napoli erano state impiantate tonnare. Il sistema della "tonnara alla napoletana" è diverso da quello della "tonnara alla siciliana": difatti nel territorio campano era stato concesso ai feudatari un tratto di mare con reti fisse ed un tratto di spiaggia per porvi i locali necessari alla conservazione degli attrezzi ed alla lavorazione del pescato.

Le barche della tonnara

Sul tratto di spiaggia si pone il "piede" della tonnara, cioè l'appoggio delle reti sulla spiaggia, affittato dal feudatario. Lo stesso re fa calare tonnare a Posillipo ed al Granatello (Portici), suoi "Siti Reali di pesca". Dopo la promulgazione della legge eversiva della feudalità (1806) i diritti feudali di pesca passano ai Comuni, che danno in fitto i "piedi" delle tonnare, ricavandone un utile per il bilancio comunale. Nell'Ottocento le tonnare sono ancora calate nelle isole di Procida (a San Martino e Capobove), Ischia (a San Pietro, dove è stato costruito il porto ed a Lacco Ameno), Capri, Sorrento e Massa Lubrense. Quelle di Castellammare di Stabia, di Vico Equense e dell'isolotto di San Martino non sono più in uso nell'Ottocento. Ai primi del Novecento sono in uso solo le tonnare di Procida dismessa negli anni '40, e di Lacco Ameno, dismessa negli anni '60. Per la pesca del tonno si usano imbarcazioni dette "Caparaise" (il barcone più grande che ospita il capo, o rais), l"Abbazia" e lo "Scieve". Fino agli anni '30-'40 del Novecento tutte queste imbarcazioni sono a propulsione removelica, poi subentra la propulsione meccanica con la costruzione di potenti motopescherecci che hanno permesso di ampliare gli orizzonti di pesca e allargare i mercati della distribuzione.

Maria Sirago

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