Il Regno delle Due Sicilie - Servizi e infrastrutture - Porti, interporti, ponti e strade

Porti e arsenali dal Decennio francese all’Unità

In epoca napoleonica uno dei primi obiettivi è quello di migliorare il sistema portuale italiano, in modo da creare porti capaci di accogliere i vascelli da 80 cannoni, costruiti secondo le nuove tecniche francesi. Viene dunque data particolare attenzione al ripristino degli arsenali di Napoli e Castellammare, visto che molte attrezzature sono state portate in Sicilia dai Borboni. Dal 1808 la cura di porti, arsenali e lazzaretti è affidata al “Corpo dei Ponti e Strade”, istituito da Murat, a cui nel 1811 è aggiunta la “Scuola di applicazione”, cioè la scuola per gli ingegneri (futura facoltà di Ingegneria) col compito di studiare le strutture portuali ed il loro possibile ripristino. E nel 1814 l’ingegnere Giuliano de Fazio inizia a studiare il porto di Pozzuoli. Comincia così l’”ingegneria marittima”.

Napoli. Il Mandracchio o Molo Piccolo, Luigi Del Giudice, 1814, collezione privata

Napoli
In epoca napoleonica è data particolare attenzione al porto di Napoli, per il quale sono redatte piante con progetti di miglioramento. Nel 1819, dopo la riapertura della “Scuola di applicazione” iniziano anche i lavori per ristrutturare la Marina del Piliero. Poi dagli anni ’30, l’ingegnere Giuliano De Fazio, per adeguarlo alla navigazione a vapore, comincia la ristrutturazione del bacino delimitato dal Molo Grande, destinato ormai alla sola sosta delle navi da guerra, creando il Molo di San Vincenzo, “a guardia” del porto militare. Dopo la Restaurazione viene ristrutturato anche l’arsenale e dal 1838 comincia la riconversione per la costruzione delle nuove navi a vapore. L’arsenale napoletano è adatto solo alla costruzione di naviglio minore, come le fregate e le cannoniere o all’assemblaggio dei vascelli costruiti a Castellammare. Poi nel 1845 il re approva un progetto dell’ingegnere Clemente Fonseca per la sistemazione di tre scali per costruzioni e l’edificazione di nuovi depositi e magazzini. Nel 1846 inizia la costruzione del Bacino di raddobbo, o di carenaggio, il primo in Italia su modello francese, ove poter procedere ai lavori di manutenzione all’asciutto senza creare traumi alle strutture dei bastimenti. Viene inaugurato solennemente nel 1852 e dichiarato monumento nazionale nel 1981. Quanto al porto commerciale, dal 1828 inizia la costruzione della Dogana nuova e viene posta particolare attenzione alla zona del Mandracchio, il porto commerciale, da secoli riservata allo scarico delle merci trasportate dalle imbarcazioni dedite al cabotaggio, ristrutturata secondo un progetto dell’ingegnere Stefano Gasse; i lavori si protraggono però a lungo e terminano nel 1848, diretti dall’ingegnere Clemente Fonseca, che provvede anche a ripristinare l’arsenale.

Napoli. Darsena e arsenale del Molo Grande, Alessandro d'Anna, 1787, collezione privata, in Denise Maria Pagano, C'era una volta Napoli, itinerari meravigliosi nelle gouaches di Sette e Ottocento, Napoli 2002.

Castellammare
Anche l’arsenale di Castellammare è sistemato; qui vengono costruiti tre scali, in modo da poter impostare tre vascelli contemporaneamente. Dopo la Restaurazione si realizzano alcune opere strutturali e viene costruito l’avanscalo in muratura, che permette per la prima volta di varare i bastimenti in loco. Inoltre sono costruiti nuovi magazzini di stoccaggio. Dopo il 1838 l’arsenale viene ristrutturato per adeguarlo alla costruzione delle navi a vapore, con macchinari stranieri, ed i lavori continuano fino al 1850. Infine nel 1853 viene costruita una grande corderia. Intanto il sovrano aveva creato l’officina metalmeccanica di Pietrarsa dove nel 1851 viene costruita un’intera macchina a vapore di 300 c.v., montata sulla pirofregata Ettore Fieramosca, costruita a Castellammare, la prima unità costruita in tutte le sue parti, macchine comprese, nel Regno.

R. Carelli, Marina di Castellamare

Pozzuoli e Nisida
Nel 1814 l’ingegnere Giuliano de Fazio inizia gli studi sull’antico porto di Pozzuoli, proponendo a titolo sperimentale di restaurare 6 dei 15 piloni antichi per utilizzare il sistema dei “moli a traforo”, da applicare negli altri porti, specie quelli pugliesi, per ovviare al continuo insabbiamento. Gli studi continuano dopo la Restaurazione ma negli anni ’30 viene deciso di eseguire l’esperimento a Nisida, dove si ripristina anche il lazzaretto. In questi anni il direttore del Corpo di Ponti e Strade, Carlo Afan de Rivera, propone di trasformare la zona flegrea nel più grande emporio del Mediterraneo, come lo era stata in epoca romana. Sfumata quest’idea, nel 1842 viene redatto un progetto che prevede di lasciare aperti 5 trafori; poi, visto che l’utopistico sistema non dà i risultati sperati, dieci anni dopo viene deciso di chiudere tutte le arcate e costruire una banchina, i cui lavori dureranno fin dopo l’Unità, cambiando totalmente la struttura antica. Nel contempo si decide di riorganizzare i porti commerciali mediante un capillare ripristino dei lazzaretti, in primis quello di Nisida, usati per lo “spurgo” o quarantena, delle merci provenienti dall’Oriente.

Proposte per Pozzuoli, 1828 in G. De Fazio, Intorno al miglior sistema di costruzione dei Porti. Discorsi tre, Napoli, 1828 tav. V, particolare R. Carelli, Il porto di Pozzuoli, XIX Secolo

Ischia
Dagli anni ’40 dell’800 la politica borbonica di sviluppo economico è strettamente collegata alla necessità di potenziare le vie di comunicazione ed i mezzi di trasporto, per cui si procede ad adeguare gli scali esistenti ed a realizzarne di nuovi. In quegli anni cominciano le “gite di piacere” con i battelli a vapore nell’”isola verde”; e lo stesso re Ferdinando II ama villeggiare nell’isola, nella sua “Villa dei bagni”. Perciò anche se nel 1852 il Consiglio Provinciale di Napoli non dà parere favorevole al Comune per la costruzione del porto nell’antico lago, ritenendola un’opera inutile, l’anno seguente il re esprime parere diverso, ribadendo l’importanza di rafforzare i collegamenti marittimi. Ed il 7 settembre del 1854 il porto viene solennemente inaugurato, anche se i lavori continueranno per alcuni anni, con la costruzione del faro e del telegrafo elettromagnetico. Dopo l’Unità la villa viene donata dai Savoia al Comune di Ischia e diviene sede per le cure termali riservate ai militari, uso che permane ancora oggi. L’apertura del porto fa crescere l’interesse per l’isola e per le sue risorse termali ed un rafforzamento della piccola cantieristica. Negli ultimi anni (2004) si è messa a punto una strategia per il suo riassetto, necessario dato l’incremento turistico verificatosi soprattutto dal secondo dopoguerra.

Maria Sirago

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