Il Regno delle Due Sicilie - Servizi e infrastrutture - Pubblica sicurezza

Giustizia e polizia tra la Restaurazione e il 1850

A ridosso del turbolento ciclo che ai conflitti del 1799 vede seguire il riformismo francese e poi borbonico, il controllo dell’ordine pubblico nel primo Ottocento è un campo complesso di problemi sia politici sia sociali. Se ai movimenti settari fin dai moti del 1820-21 le forze della reazione rispondono con la repressione, la riforma di giustizia e polizia costruisce le istituzioni chiave della modernità statuale nel campo della politica penale. Nonostante la discriminazione subita dai giudici d’orientamento liberale dopo il 1820-21 e dopo il 1848, la riforma della giustizia d’impronta napoleonica porta avanti la codificazione civile e penale ed il riassetto della magistratura. Questa ora dipende dal Ministero di Grazia e Giustizia ed è inquadrata nei tribunali civili e penali istituiti per province, circondari e più ampi distretti. Serie difficoltà si registrano invece nella strutturazione della polizia, che entra in collisione con la magistratura.

Briganti presso un abbeveratoio

Mentre fallisce la forte concentrazione del potere realizzata dal ministro Francesco Saverio Del Carretto, che cumula nella sua persona la direzione della Polizia e della Gendarmeria, la nuova istituzione ha difficoltà ad imporre l’ordine pubblico, senza metodi vessatori e/o corruzione, sia sul versante politico che nel controllo di una criminalità più o meno virulenta. Se il brigantaggio, che infesta la società rurale, risulta marginale nella provincia di Napoli (dove si concentra sui Monti Lattari e nei paesi vesuviani), nasce proprio in questo periodo la camorra come organizzazione strutturata tra le carceri e i mercati della Campania felix, tra le province di Napoli e Terra di Lavoro. Dopo il 1848 la repressione politica ha il sopravvento, consegnando alla storia la leggenda nera della polizia più arbitraria ed inefficiente d’Europa. Da allora infatti, anche col supporto delle Commissioni militari, si allargano i poteri della polizia nella più ampia persecuzione dei sospetti di reati politici, i così detti “attendibili”; la repressione giudiziaria si orienta analogamente verso i liberali più attivi con processi regolari ma duri, che producono numerose condanne a morte poi comminate in ergastoli. Dalla rete familiare dei patrioti ergastolani, sempre più vicini lungo gli anni ’50 all’opinione nazionale in crescita in tutta Italia, e segnatamente dalle loro donne, parte un’attiva propaganda contro i Borboni. Essa ha risonanza internazionale e culmina nella pubblicazione di alcune lettere inviate a Lord Aberdeen dal futuro leader inglese William Ewart Gladstone circa la vergogna delle carceri napoletane, dove i detenuti politici sono ammassati accanto ai comuni. La problematica è ripresa nel 1857 da un pamphlet pubblicato a Torino dall’economista esule Antonio Scialoja, che pone a raffronto la politica finanziaria del Regno di Napoli e quella ben più evoluta degli Stati Sardi: l’asfittica politica di bilancio è collegata con la diffusa insicurezza pubblica e col mancato controllo dello stesso spazio carcerario, dove domina la camorra.

La repressione del brigantaggio tra i Borboni e i Savoia
Fenomeno endemico nel Mezzogiorno rurale sin dal Medioevo in relazione con le ricorrenti crisi agrarie, e d’altra parte capace di sfruttare la protezione del baronaggio, il brigantaggio meridionale conosce nel secolo XIX ancora un lungo ciclo espansivo. Dalle turbolenze intercorse tra il 1799 e il decennio francese il brigantaggio si ripropone nei conflitti Restaurazione-Risorgimento, per trovare quindi il suo epilogo nella massiccia repressione militare e politica subita all’indomani dell’unificazione italiana. All’intreccio di fattori che si cumulano nelle fasi d’intenso conflitto politico, amplificandone l’intrinseca pericolosità sociale, a partire dal 1816 i Borboni rispondono con una strategia repressiva che combina l’intervento militare con misure giudiziarie eccezionali; queste ultime sono affidate, a livello provinciale e per gruppi di province, a Commissioni militari straordinarie, liste di fuorbando, Corti marziali. Se la provincia di Napoli resta toccata dal fenomeno marginalmente a confronto con il Mezzogiorno più immerso nelle dinamiche della società rurale, la cultura giuridica che ha il suo centro nella capitale fa opposizione ad una configurazione dei poteri sbilanciata a vantaggio del privilegio militare. La Consulta stoppa infatti negli anni quaranta il progetto di un codice di polizia forte apprestato dal ministro Francesco Saverio Del Carretto. Questi, già promotore nel 1828 della spietata repressione del brigantaggio nel Cilento, e fino al 1848 concentra nella sua persona le due cariche di ministro della Polizia e capo della Gendarmeria. Negli anni cinquanta, mentre la forte repressione politica contro i liberali espone la monarchia ad una crisi d’immagine sul piano dell’opinione nazionale ed europea, il contrasto del brigantaggio si ripropone con le Commissioni militari in particolare nelle Calabrie. La continuità con la strumentazione borbonica segna ancora la repressione del grande brigantaggio attuata dalle leggi eccezionali del 1863 e 1866, grazie alle quali l’intervento militare massiccio si combina efficacemente con la dissuasione delle élite filo-borboniche a proteggere le bande, per accettare piuttosto le più moderne mediazioni politiche offerte dal novello sistema rappresentativo.

Marcella Marmo

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