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La Provincia e la Regione

Nel luglio 1970 la Campania  inizia il suo cammino  sulla via delle autonomie regionali, ben ventidue anni dopo il varo delle regioni da parte della Costituzione.
Il primo consiglio regionale si riunisce il 6 luglio 1970 nella sede ristrutturata di Santa Maria La Nova. Interviene il prefetto Francesco Bilancia come commissario del governo, Giuseppe Onofaro è presidente provvisorio come consigliere più anziano, segretari sono i consiglieri più giovani Ortensio Zecchino e Giorgio Bassolino. Il 15 luglio Antono Gava, democristiano, è eletto presidente della Regione. Ciro Cirillo, esponente dello stesso partito, la DC,  è presidente della Provincia.
L’evento è ampiamente trattato sulla rivista «La Provincia di Napoli» (a. VIII., 1970, nn. 2 e 3), con articoli di Orazio Sanna,  in merito soprattutto alla Costituzione, al funzionamento e all’organizzazione degli organi regionali, alla riforma tributaria, al ruolo del Commissario di governo nell’autonomia regionale, alla politica assistenziale dopo la formazione delle Regioni.
La discussione si concentra sul rapporto tra la Regione, la Provincia  e i comuni, perché questi ultimi siano protagonisti,  non satelliti del nuovo ente.
Cirillo con vari interventi (Orizzonti della provincia nell’assetto regionale; La posizione delle province nel nuovo assetto istituzionale) e  altri(Per una confacente riforma della legge comunale e provinciale; L’avvenire della Provincia)  sulla rivista insistono sul ruolo della Provincia come organo intermedio tra Regione e Comuni, per coordinare le attività  e gli interessi comuni. Una serie di convegni,  tra cui quello di Napoli del 18 ottobre 1972, sottolineano che la Regione ha comportato un trasferimento di funzioni dello Stato e non uno svuotamento della Provincia; si  auspica che il nuovo ente la sgravi da numerosi oneri,  nell’ambito di una generale ristrutturazione normativa provinciale, e che in tal modo si allontanino anche le molte voci diffuse sulla sua inutilità. Il consiglio provinciale approva anzi nella seduta del 25 febbraio 1979 il piano di ristrutturazione per renderla più funzionale, sì da non essere scavalcato e svuotato nelle sue funzioni nella confusione di ruoli nel rapporto col nuovo ente.

Dalle Bicamerali alla “legge Bassanini”
Il discorso sul rapporto tra gli Enti locali prelude al dibattito, molto intenso negli anni ’80, sulla riforma dell’organizzazione costituzionale dello Stato, con la creazione  di una Commissione per le riforme istituzionali (passata attraverso la I, II e III Bicamerale,  1983, 1992, 1996).
La legge n. 142 del 1990 sull’ordinamento delle autonomie locali ha poi  attribuito alla Regione il compito di disciplinare la cooperazione fra Comuni e  Province e di queste con la Regione stessa, cercando di ridistribuire le funzioni secondo le caratteristiche dei vari Enti.
Sono vicende che si incrociano con la “tangentopoli” italiana e napoletana, espressione della degenerazione di molti partiti politici e di fenomeni di corruzione e illegalità diffusi, che pongono con urgenza il problema del ricambio della classe politica e del rinnovamento dei metodi di selezione della rappresentanza, tramite la modifica del sistema elettorale in senso maggioritario, in seguito al referendum, nel 1992.
La seconda Bicamerale in questo clima elabora un progetto (De Mita –Iotti) che esalta l’autonomia  politica, legislativa e finanziaria delle Regioni,  e ridefinisce  le competenze di Stato e Regioni.
Intorno alla metà degli anni Novanta  il ruolo acquistato dal partito federalista,  con la Lega Nord,  ha posto al centro dell’attenzione il tema della trasformazione dell’Italia in repubblica federale, sì che la III Bicamerale nel 1996 ha avuto il compito di elaborare progetti di revisone della II parte della Costituzione in materia di forma di Stato, di governo e di bicameralismo, di sistema delle garanzie, approvati nel gennaio 1997.
Circa le funzioni di Regioni, Province e Comuni, chiarito che la titolarità delle funzioni spetta agli enti più vicini al cittadino, si prevede l’applicazione di criteri di sussidarietà e di differenziazione, nel rispetto delle autonomie funzionali stabilite dalla legge.
In seguito all’interruzione del lavori della Bicamerale il progetto di revisione costituzionale è abbandonato e la “legge Bassanini” di fatto attua il federalismo amministrativo “a Costituzione invariata”, riforma che rappresenta la massima concessione di autonomia da parte dello Stato  in favore di Regioni, Province e Comuni, attuabile con legge ordinaria.
Il processo di decentramento ha comportato la valorizzazione delle autonomie locali, ma nel 1999 e nel 2001 altre riforme riguardano l’art. V della Costituzione e l’autonomia finanziaria degli enti locali.

 
Renata De Lorenzo
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