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L’ evoluzione della camorra tra Ottocento e Novecento
Nonostante la cospicua repressione post-unitaria, in età liberale si assiste ad una riproduzione della camorra, che dimostra la capacità di adattamento del fenomeno al nuovo contesto politico e al pur lento mutamento sociale. Anche a fronte della migliore strutturazione della polizia e dell’uso relativamente intensivo delle misure extragiudiziarie affidate alla Commissione provinciale per l’invio a domicilio coatto, a fine Ottocento l’organizzazione storica perde la sua coesione, e tende a differenziarsi al suo interno.
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Antonio Parlati, detto “Totonno ’e Santu Dumminecu”, ladro e camorrista |
Se l’area di reclutamento resta la delinquenza plebea, per un top di camorristi si allargano le relazioni, aperte verso l’alto e in particolare verso il novello mercato elettorale. Analoghi sviluppi del fenomeno sembrano verificarsi nella provincia, tra affari agricoli, commerciali e amministrativi. A fine secolo la vera e propria tangentopoli dell’Inchiesta Saredo colpisce con indagini governative e processi penali una certa “alta camorra politico-amministrativa”, fiorente tanto nel Comune di Napoli che nell’Amministrazione provinciale. L’economia della camorra nel suo insieme vede intanto arretrare l’estorsione diffusa, a favore di più mirati interventi in alcuni settori (mediazione del commercio urbano-rurale, usura, servizi pubblici portuali e di trasporto, controllo della microcriminalità, aree del vizio illecito). A ridosso della repressione che fa seguito al processo Cuocolo del 1906-12, la camorra storica si dissolve a livello urbano, ma resta un fenomeno carsico in città (i guappi di quartiere). Nella cintura e nei paesi della provincia, invece, come lungo la più ampia Campania felix da Caserta a Nola, l’intermediazione agricola e il contrabbando alimentano una densa delinquenza, contro la quale si abbatte una certa repressione del regime fascista. Nel secondo dopoguerra questa camorra carsica sembra limitarsi ai vecchi affari di malavita e di contrabbando; negli anni ’50 acquista nuova visibilità, in occasione del sanguinoso conflitto nei mercati ortofrutticoli che produce l’omicidio di Pascalone ‘e Nola, cui segue la clamorosa vendetta della giovane moglie Pupetta Maresca, figlia peraltro di una forte famiglia di camorra di Castellammare. Il fenomeno camorrista avrà un rilancio in grande stile sull’intero territorio della provincia a partire dagli anni ‘70 intorno agli affari della droga, che producono anche strette relazioni della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo con altre organizzazioni criminali (Cosa Nostra). Per quest’ultimo periodo le informazioni si sono moltiplicate grazie alle indagini giudiziarie, prodotte dalla riattrezzata repressione antimafia e dallo sviluppo del cosiddetto pentitismo nei numerosi clan di Napoli e della provincia. Di questi sono noti gli organici, la capacità espansiva negli appalti pubblici e le collusioni sovente forti con la politica, l’allargarsi dei mercati illeciti alle armi e ai rifiuti tossici, una certa proiezione nell’economia mondiale. Colpiscono il ritorno alla grande di estorsione ed usura, che sono anche la via di cattura di imprese legali, il cospicuo riciclaggio del danaro sporco, e una guerra di camorra assai più feroce che in passato, oggetto di un racconto sconvolgente nel best seller di Roberto Saviano Gomorra.
La riproduzione della camorra in età liberale
Nella città di Napoli, un certo disciplinamento della vita per strada fa arretrare l’estorsione a tappeto visibilissima intorno al 1860. Acquistano anche più rigoglio le attività camorriste mirate in alcuni settori chiave dei servizi (portuali e di trasporto), nell’intermediazione del mercato urbano-rurale e nel contrabbando, nel blocco delle aste pubbliche, nel commercio all’ingrosso della carne e del pesce. Fortissima resta peraltro la capacità della camorra di controllare dal carcere la microcriminalità e le aree del vizio illecito (gioco d’azzardo e lotto clandestino oltre che prostituzione). Eugenio De Cosa, un ispettore di pubblica sicurezza particolarmente attento ai profili sociali della delinquenza, a cavallo tra gli anni della grande crisi politica e sociale di fine secolo e i primi del Novecento, tratteggia un fenomeno camorrista ancora molto articolato nella delinquenza popolare. Nella provincia, analogamente, l’organizzazione per gruppi di camorra opera, tra mercato legale ed illegale, nell’intermediazione agricola, e si allarga talora al controllo del mercato degli affitti, lasciando anche spazio nelle fasce intermedie a nuovi affaristi che mirano alla scalata alla proprietà. Nella grande città e nei medi e piccoli comuni, una camorra, tuttora immersa nelle aree prettamente delinquenziali, sembra avvicinarsi agli affari comunali (appalti per le Opere pie ed edilizia, accanto a vecchi affari come il macello e il contrabbando alla cintura daziaria). Soprattutto comincia ad entrare nel mercato elettorale sia per il voto politico che amministrativo. Il fenomeno cresce con l’allargamento del suffragio degli anni 1880-’90. Non per caso nei primi anni del Novecento due cospicue inchieste per il Comune di Napoli e per l’Amministrazione provinciale parleranno di “camorra politico-amministrativa” (Inchiesta Saredo). Una camorra dunque proteiforme, ora plebea ora “imborghesita e modernissima”, è oggetto di un vero e proprio ciclo di allarme sociale di lì a pochi anni, in occasione del processo Cuocolo.
Marcella Marmo |
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