Tra le due guerre - Cultura e Patrimonio - Promozione delle arti - Musei

I musei napoletani dal 1919 agli anni ‘70

Gli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale segnano l’avvio di quel processo di specializzazione delle grandi raccolte nazionali che porterà da un lato, al progressivo definirsi del Palazzo degli Studi come Museo Archeologico, dall’altro alla nascita del Museo e Gallerie nazionali di Capodimonte. Cruciale, per la nuova svolta, l’emanazione del R.D. del 3 ottobre 1919 n.1792 che sancisce il passaggio al demanio di un cospicuo numero di beni. L’affidamento al Ministero della Istruzione pubblica del palazzo reale di Napoli e della Reggia di Capodimonte avvia quel processo di musealizzazione delle grandi residenze borboniche che modifica significativamente il sistema dei grandi spazi espositivi della città. Il processo non fu rapidissimo né indolore. La decisione del 1919 è all’origine della più ampia dispersione del patrimonio delle antiche dimore che il nostro Paese ricordi ed è giusto sottolineare che altrettanto ampio e sentito fu il dibattito al riguardo. Per i palazzi napoletani, ad esempio, si alzò con forza – ma con risultati parziali- la voce di Benedetto Croce e della rivista «Napoli Nobilissima». Della reggia napoletana Croce aveva inizialmente proposto di conservare integralmente gli appartamenti storici accogliendovi, inoltre, la raccolta del Museo Duca di Martina ( collocata nella Villa Floridiana solo nel 1925). In seguito, a questa prima ipotesi, si aggiunge la proposta di dar vita ad un grande museo storico della monarchia napoletana “con annesse collezioni artistiche” e collocare, nella parte più recente della reggia, la grande biblioteca nazionale ospitata nel Palazzo degli studi. Il Palazzo Reale, con Croce, è immaginato come uno spazio polifunzionale sede della Biblioteca, di un museo storico della monarchia napoletana, dell’appartamento reale e del Museo del mobilio. L’ipotesi, com’è evidente, venne in seguito realizzata solo in parte. La reggia, che ospitò comunque la Biblioteca, non ebbe alcuna struttura museale autonoma, ma si fece comunque sempre più strada la convinzione e l’esigenza di salvaguardare la parte più antica dell’edificio come “appartamento storico” che prenderà forma – lentamente- solo dopo gli anni 50. Nello stesso decennio apre al pubblico anche Capodimonte. La storia espositiva di questa Reggia è, com’è noto, molto più lunga. Le origini del museo si potrebbero far coincidere con le vicende storiche e dinastiche che portarono Carlo di Borbone sul trono di Napoli o farle partire dagli anni sessanta dell’Ottocento quando ad Annibale Sacco, direttore amministrativo di casa Reale, viene affidato l’incarico di riordinare le collezioni presenti in sede e creare una galleria d’arte moderna utilizzando i dipinti già presenti nelle collezioni borboniche uniti e quelli provenienti da una precisa politica di acquisti dalle Promotrici. Sia nell’uno che nell’altro caso però, continuando ad essere periodicamente abitato da sovrani e da principi, la funzione del museo – come acutamente osservò Bruno Molatoli- restava complementare alla destinazione di residenza reale. Solo nel 1948, restituito integralmente l’edificio all’esposizione delle opere d’are, da un lato si pose il problema di una sua più adeguata e complessiva destinazione, dall’altro si maturò il proposito di trasferirvi la Galleria delle Pitture estremamente sacrificata negli angusti spazi di un Palazzo – quello degli Studi- pressoché interamente dedicato all’archeologia. Deciso il trasferimento nel 1949 e restaurati i suoi ampi locali tra il 1952 e il 1957, la nuova struttura museale di Napoli fu aperta al pubblico il 5 maggio 1957 e intitolata Museo e Gallerie nazionali di Capodimonte. Museo “nuovo” e meno vincolato dal peso di una lunga e importante stratificazione di proposte espositive (documento storico esse stesse), Capodimonte ha vissuto da protagonista il via via crescente aumento della domanda di cultura, modificando il suo allestimento e dunque il proprio messaggio in direzione di una sempre più agevole e immediata comprensione della sua storia e delle sue raccolte d’arte. Nell’arco cronologico da noi preso in considerazione aprono al pubblico altri due importanti spazi espositivi – Villa Pignatelli e il Museo Duca di Martina; si specializzano ulteriormente le raccolte universitarie ma si avviano al declino alcune delle più interessanti raccolte ottocentesche: il Museo Filangieri ( le cui raccolte vennero quasi interamente distrutte durante la seconda guerra mondiale) e il Museo Artistico-Industriale che, privato dell’originario ruolo di spazio formativo per gli allievi delle compresenti Scuole-officine, verrà riproposto al pubblico solo in tempi più recenti ma con forme e obiettivi profondamente diversi.

Nadia Barrella

Promozione delle arti

Tradizioni popolari
 
   
     
 
Musei
La sceneggiata