Tra le due guerre - Cultura e Patrimonio - Tradizioni popolari

Tradizioni popolari e ricerca erudita

I criteri che governavano le scelte amministrative favorirono direttamente e indirettamente l’attenzione erudita verso le forme di vita tradizionali e popolari. Questa attenzione si nutre di una rinnovata consapevolezza delle differenze fra città e provincia, centro e periferia, vita urbana e vita contadina o pastorale, modernità e tradizione. Le inchieste murattiane introducono un criterio di accertamento moderno. Sembrano concepite nella consapevolezza del fatto che molte pratiche di vita erano sul punto di scomparire senza quasi lasciare traccia e che prima di commentarle dal punto di vista sentimentale si trattava di documentarle.
Dall’inizio dell’Ottocento la formulazione del mito romantico della «poesia popolare» genera un primo impulso nella raccolta delle testimonianze orali popolari della provincia, che trovavano precedenti nell’opera di viaggiatori stranieri. Benché gli eruditi opponessero la «spontaneità» della cultura popolare all’artificiosità della cultura d’élite, la documentazione della prima viene per lo più concepita sui criteri tassonomici della seconda, tanto che i canti popolari, trascritti nella loro esclusiva componente verbale, diventano «poesie» popolari.
Nel contesto unitario le tradizioni popolari acquistano nuovo significato. Esse rappresentano una fonte per le rielaborazioni dialettali, soprattutto nell’ambito della poesia, della canzone e del teatro. Tali rielaborazioni, di carattere non popolare ma colto o popolareggiante, assorbono e rilanciano motivi tradizionali della Provincia in chiave di ostentazione «etnico-territoriale», che aggiunge nuovi significati alla scelta linguistica del napoletano. Accanto a queste sperimentazioni letterarie, prosegue il lavoro erudito di accertamento dei testi propriamente popolari, cui partecipa anche il giovane Benedetto Croce. Nasce a Napoli un Archivio di letteratura popolare, il «Giambattista Basile», che dà spazio alle testimonianze della Provincia di Napoli. Vi compaiono articoli di Vittorio Imbriani, che qui e altrove si fa folklorista soprattutto dell’area di Pomigliano d’Arco.
Nel ventennio fascista non si notano variazioni di tono nell’accertamento delle realtà culturali popolari. L’atteggiamento verso le tradizioni culturali periferiche, salvo rare eccezioni, resta di tipo romanticheggiante, impermeabile alla dimensione propriamente sociale dei fatti culturali.

Nel periodo repubblicano la questione meridionale, riletta in chiave di differenza e opposizione, tra nord e sud, città e campagna, modernità e tradizione, sottrae i fatti folklorici da un’attenzione esclusivamente sentimentale. Li considera documenti di carattere culturale e politico. Dal dopoguerra in poi le culture tradizionali assumeranno fortuna crescente e saranno documentate nella totalità delle loro espressioni, «immateriali» (canti, racconti, saperi, memorie) e «materiali» (oggetti e comportamenti appresi). La Provincia si dota man mano di strumentazioni autonome per documentare ed eventualmente ostentare le sue specificità culturali. Man mano che si imporranno universalmente modelli di vita omogenei dettati dal centro, le diversità locali acquisteranno nuovo significato e nuovo valore (culturale ed economico). La ricerca erudita soprattutto nella Provincia sarà dominata dal tema religioso e magico-religioso, nelle sue espressioni rituali istituzionali e non istituzionali.

Valerio Petrarca

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