Tra le due guerre - Attività economiche e produttive - Turismo - Gastronomia
La gastronomia della Campania

«… il mio canadese era là, alle prese con la quarta pizza…». G. Giovannetti, Disegno, in «Le vie d’Italia. Rivista mensile della Consociazione turistica italiana», anno XLV, settembre 1939.

Tratto da: Guida gastronomica d’Italia, Touring club italiano, Milano, 1931 (ristampa del 1960).

La gastronomia della Campania si identifica con quella di Napoli, la quale predomina nell’intera regione. Parlare quindi della cucina napolitana, delle usanze alimentari della metropoli, equivale a comprendervi quelle della zona campana, salvo quelle particolarità locali che per ciascuna provincia verranno notate.

PROVINCIA DI NAPOLI
Dalla Guida d’Italia del T.C.I. (nota: Napoli e dintorni, 1938, pag. 81): «Napoli è passata, nei secoli, in fama di città preminentemente pantuagruelica e carnascialesca, la città ove non si fa che vivere in cucina o tra orgie e baccanali, la città della ghiottoneria. E non è vero. Diremmo quasi che tutto ciò non fu mai vero. Il buon gusto culinario non può e non deve confondersi con la ghiottoneria. I napoletani amano la buona mensa, come amano le canzoni e il mare, perché sono innamorati di ogni cosa che si avvivi di poesia; ma sono modelli di parsimonia e di sobrietà. E, comunque si attui e si svolga la civiltà, essi saranno sempre attaccati con tutta l’anima, e non per vizio di gola, ai loro pittoreschi mercati e alle loro pittoresche osterie. Né rinunzieranno mai alla loro cucina, che è tra le più saporose, ma anche tra le più semplici e schiette, di quante altre cucine regionali giocondano il mondo. Non rinunzieranno mai ai maccheroni col pomodoro o con le vongole, alle fresche e profumate zuppe di pesce, alle grasse minestre maritate, all’irresistibile ragù domenicale, alle bionde fritture di pesce, alle rosee cassuole, ai luciani polpi affogati, agli appetitosi capretti al forno, alle invidiabili fritture miste, ai prelibati polli alla cacciatora, alle ghiotte e delicate mozzarelle in carrozza o allo spiedo, alle carnevalesche lasagne e zuppe di soffritto, agli struffoli natalizi, alle pasquali pastiere, alle frutta prelibate, fresche e secche, e ai generosi vini di Posillipo, di Monte di Procida e delle vigne vesuviane.
«I mercati napolitani sono quelli stessi della tradizione, ma intonati al «buon gusto moderno». Verso le barriere vive il mercato delle frutta e degli ortaggi; a Porta Capuana furoreggia sempre il mercato del pesce, che da qualche anno ha perduto l’altra sua sede, la «Pietra del pesce», alla Marina. Sontuosi son sempre i mercati di Monte Oliveto, di Belledonne a Chiaia e del Purgatorio, forniti di tutte le delizie gastronomiche. Essi prediligono le esposizioni sfarzose dei loro prodotti: le belle mostre, i banchi pittoreschi e infiorati, le vetrine lucenti e colme, i più bizzarri e fantastici agglomerati di appetitose mercanzie. Tanto colore è rimasto e si è ingentilito, ad onta delle afflizione del caroviveri».
La cucina napolitana è uno dei pilastri della gastronomia italiana, né è certo irriverente noverarla fra gli elementi di attrazione che concorrono a formare il fascino multiforme di Napoli e della sua terra: il lato materiale della vita – affermava il Valery (L’Italie confortable) «a bien aussi ses jouissances, à coté des impressions plus relevées produites par les merveilles de la nature ou les chefs-d’ouvre de l’art», né esistono incompatibilità fra il godimento prodotto dal più estetico alimento cerebrale e quello meno immateriale che uan buona tavola procura. L’uno e l’altro, si potrebbe dire, sono posti a Napoli sullo stesso piano di sentimenti e di sensazioni. Una serata trascorsa a Posillipo dinanzi ad uno dei più fantastici scenari di bellezza che si possano concepire, lascierà nell’animo un solco scintillante di impressioni indelebili: ma chi avrà resistito a desiderio di prolungare quell’incanto divino sedendo, presso un fiorito balcone aperto sul Golfo, ad una mensa giocondamente imbandita delle fragranti vivande che sono la gloria dei cuochi locali, annaffiate dai vini profumati del Vesuvio?
Elemento fondamentale della cucina napolitana sono le paste alimentari: trionfa per esse quella incomparabile creaazione, caratteristicamente nostrana, ch’è la Pasta asciutta, etichetta gloriosa d’una magnifica schiera di vivande salubri, nutrienti, perfette, irresistibilmente grate al palato come fisiologicamente propizie allo stomaco, pietanze tipicamente aderenti al gusto degli Italiani – fatto di semplicità raffinata – ed insieme alimenti infallibilmente appropriati alla sanità agile e vigorosa della nostra razza.
Il culto della pasta asciutta – tenace ed inattaccabile – è di tutta l’Italia; il suo maggior altare troneggia a Napoli. Ed invero, le paste di Napoli costituiscono una specialità così eminente, che in tutto il mondo vengono considerate uno degli esponenti celeberrimi della nostra produzione alimentare; non v’ha ormai angolo della terra ove i maccheroni – o macaroni, come dagli stranieri la parola è spesso storpiata – non richiamino alla mente il loro paese d’origine, Napoli e l’Italia. E per quante imitazioni, contraffazioni, falsificazioni se ne facciano un po’ dovunque, nulla eguaglia le autentiche paste fabbricate nel Napolitano, siano esse le «paste della Costa» provenienti dai pastifici di Gragnano, di Torre Annunziata, o di S. Giovanni a Teduccio, ovvero quelle che pure si confezionano in molte altre località della regione.
A seconda della forma, le paste di Napoli si dividono in paste lunghe ed in paste corte.
Le paste lunghe si chiamano genericamente maccheroni, perché questa denominazione non si applica ad una determinata forma di esse. Le forme delle paste lunghe sono molteplici: tra le paste bucate si comincia dai tipi di calibro maggiore, chiamati zitoni, per passare in ordine decrescente di grandezza, alla zita, ai mezzani e mezzanelli, ai maccheroncelli, ai perciatelli, ai bucatini, ai vermicelloni, ai vermicelli o spaghetti, ai vermicellini o spaghettini ed infine ai capellini. Le paste piatte hanno come capostipite, per la maggior larghezza (da due a tre dita), la lasagna, da cui discendono le lasagnette, le fettuccie, le fresine, i tagliarelli, lisci e ricci, i tagliarellini, le passarelle o linguine, e le linguettine.
Un’altra industria alimentare importantissima della provincia di Napoli, come della contigua provincia di Salerno, è quella del pomodoro; spetta infatti alla Campania il 31 per 100 dell’intera produzione italiana. A parte la fiorente esportazione, che se ne fa in tutto il mondo, sotto forma di salse, di estratti concentrati e soprattutto di pomodori interi pelati, il consumo interno è rilevantissimo, giacchè il pomodoro è il condimento principale della cucina napolitana, ed in genere della meridionale. Come si è già visto, però, esso ha acquistato diritto di cittadinanza in pressoché tutte le regioni d’Italia, tanto che il pomodoro viene considerato ormai come un attributo indispensabile della cucina italiana.
Oltre ai pomodori freschi ed alle varie conserve industriali, si usano largamente, nella Campania, delle salse di pomodoro, delle quali la più caratteristica è la cosiddetta «pommaròla», ed è quella che si impiega specialmente per condire le paste asciutte: essa è fatta con pomodori freschi, tagliati a pezzi e cotti in casseruola con delle carote, della cipolla e del sedano; il sugo passato al setaccio viene fatto bollire fino a un certo grado di concentrazione insieme ad un soffritto di sugna, olio, lardo, cipolla, pepe e basilico. Questa salsa saporitissima si usa subito dopo preparata. Una salsa consimile s’ottiene facendo cuocere direttamente i pomodori in un soffritto di olio, pancetta, cipolla, aglio e passando quindi al setaccio a cottura completa.
Alla gastronomia napolitana recano una varietà di «toni» caratteristici le verdure ed i legumi, che dagli orti feracissimi della Campania felix sono prodotti con abbondanza eccezionale in ogni stagione, e delle qualità più squisite.
Nell’intera regione è fiorente la produzione dei latticini ed è la produzione distintamente tipica, la quale si estende a tutto il Mezzogiorno. I prodotti principali – mozzarelle, treccie, burrielli, provole, scamorze, caciocavalli – hanno per base la lavorazione così detta «a pasta filata», consistente nella modellatura della pasta opportunamente ridotta in cordone elastico.
La mozzarella è il formaggio caratteristico di latte di bufala, largamente fabbricato nel Napolitano e specialmente a Cardito, ad Aversa, nei Mazzoni di Capua, e nel Salernitano, in modo particolare a Battipaglia, ove è prodotta su vasta scala. La mozzarella viene anche fabbricata – sempre con il sistema della pasta filata – con latte vaccino, ma non ha l’aroma e il profumo di quella di bufala. È un formaggio bianchissimo, di forma rotonda, molle, ma sodo, lievemente umido alla superficie, che normalmente non sorpassa il peso di 500 grammi; la sua pasta, dolce, fine e delicata, racchiude in sé una discreta quantità di un siero grasso e lattiginoso che in abbondanza geme dal formaggio fresco, subito dopo tagliato. La mozzarella si mangia fresca, poiché è già atta al consumo 24 ore dopo fabbricata, e la si adopera altresì in parecchie preparazioni di cucina (v. oltre).
La treccia è, come la mozzarella, formaggio filato, in forma di canapo intrecciato; è fatta pure di latte bufalino e si consuma fresca.
Il burriello è il prodotto più squisito di tutta la fabbricazione bufalina, e si fa di due specie: in lancella, piccole anfore di creta contenenti della crema di latte nella quale sono immerse delle sferule di pasta di mozzarella finissima; in pane, le stesse sferule rivestite di uno strato di pasta di mozzarella comune.
La provola possiede normalmente delle dimensioni ed un peso superiore alla mozzarella, ed è fatta pur essa di latte di bufala, con il sistema della pasta filata, è ugualmente apprezzata per il suo sapore ed il profumo. La si può consumare fresca, oppure stagionata, e le si fa subire allora una lieve affumicatura (provola affumicata). Ha il peso di uno a due chili.
Il provolone, fatto tanto con latte di bufala che di vacca, non differisce dalla precedente che per la grandezza; ha una forma sferica o leggermente ovoidale, o a tronco di cono, dal peso aggirantesi sui quattro chili. Si consuma tanto fresco che stagionato ed ha, come la provola, una pasta grassa, morbida, saporosa, dall’aroma caratteristico. Invecchiato, è usato per condimento.
Il caciocavallo è dello stesso tipo del provolone; ne varia invece la forma che è fatta a fuso con una strozzatura all’estremità. Stagionato, ha una forma asciutta, leggermente piccante, che riesce ottima come condimento. Sull’origine del nome caciocavallo si fanno quattro diverse ipotesi, scartata quella senza fondamento che fosse fatto una volta con latte di giumenta: la prima si basa sul fatto che i caciocavalli si legano a due a due con una fune di giunto e si sospendono a maturare a cavallo d’un bastone donde cacio-a-cavallo e caciocavallo; la seconda, che i casàri usavano – e molti usano ancora, specialmente in Calabria – fare con la pasta di questo formaggio dei piccoli cavallucci per giocattolo, onde il nome sarebbe rimasto al prodotto commestibile; la terza, che i pastori di varie località, quando abbandonano gli alpeggi, portano a cavallo delle proprie selle i caci legati a due a due, onde anche qui sarebbero dei caci-a-cavallo; la quarta, che derivi dalla costumanza d’altri tempi di marcare le forme del cacio con l’effigie d’un cavallo sfrenato, che figura pure nello stemma di Napoli (1) (Il Valéry, nel suo volume L’Italie confortable, ripetutamente citato, così parlava del caciocavallo: «Ce fromage, dit caciocavallo, est parfait, le meilleur du royame; Lalande l’avait pris pour du fromage fait de lait de jument, ce qui lui donne occasion d’insulter à la saauvage barbarie du peuple napolitain. Le caciocavallo est ainsi appelé, dit-on, parce qu’il est séché comme à cheval sur des bâtons».)
La scamorza è un formaggetto fabbricato con latte di vacca, sempre a pasta filata. Ha la forma d’una pera, con una strozzatura all’ilo, sulla quale si aprono quattro orecchiette: ha il peso di 150-250 grammi e si consuma fresca, similmente alla mozzarella e alla provola.
In alcune contrade si fabbricano i cosiddetti burri o butirri, che sono dei piccoli caciocavalli del peso di 100-150 grammi, con l’interno ripieno di fiore di burro, a cui dunque la pasta di caciocavallo fa da rivestimento; sono quindi dei latticini affini ai burrielli descritti più sopra.
Nella cucina napolitana hanno pure una predominanza di raffinata prelibatezza i pesci ed i frutti di mare, che le acque del golfo offrono doviziosamente, così come il lago del Fusaro abbonda di ostriche squisite.
I piatti «alla napolitana» costituiscono per buona parte delle specialità genuine; non pochi di esse sono saliti in grande fama anche oltre i confini, rappresentandovi degnamente, con le altre migliori creazioni regionali, la compagine culinaria italiana.

LE PIETANZE
Maccheroni al pomodoro. – È la pasta asciutta classica della cucina napolitana. I vermicelli, cotti «al dente» in acqua e sale, vengono conditi con una salsa di pomodori freschi, cotti nella sugna (con o senza trito di cipolle) e con formaggio grattugiato.
Maccheroni al ragù. – Il ragù è molto usato a Napoli ed in provincia; esso è fatto con carne stufata e conserva di pomodoro e se ne condiscono i maccheroni cosiddetti zita, od i zitoni, ovvero i rigatoni, con aggiunta di formaggio grattugiato.
Maccheroni alla Principe di Napoli. – Piatto fatto con i maccheroni denominata perciatelli, che si condiscono con sugo di carne, piselli, petti di pollo filettati, mozzarella triturata e formaggio grattugiato.
Maccheroni alle vongole. – Per questo piatto famosissimo si impiegano i vermicelli, che appartengono alle paste lunghe di media sottigliezza e vengono anche chiamate spaghetti: essi son conditi con sugo di pomodoro all’olio, con aglio e prezzemolo e vi s’aggiungono quindi le vongole cotte nella medesima salsa. Le vongole sono dei molluschi bivalvi simili alle telline.
Maccheroni alla marinara. – Sono conditi con salsa di pomodori freschi, cotta nell’olio con aglio e prezzemolo, alla quale si aggiungono capperi e olive.
Timballo di maccheroni. – Ha la stretta parentela con i timballi d’altre regioni, ed è piatto dei pranzi di cerimonia. I maccheroni della qualità più grossa (zitoni) vengono conditi con un ragù di sugo di carne, polpettine di carne, rigaglie di pollo, piselli, funghi, mozzarella, uova, formaggio grattugiato, e cotti entro forme di pasta frolla. I timballetti sono composti degli stessi ingredienti, ma in forme piccole.
Lasagna imbottita. – È il piatto tradizionale del giovedì grasso. Si adoperano le larghe fettucce dette lasagne che, dopo bollite, si fanno stufare in un tegame, disposte a strati conditi con sugo di carne, inframmezzati di pezzetti di salsiccia, di mozzarella, di ricotta, d’uova sode, e cosparsi di formaggio grattugiato.
«Sartù». – È così chiamato a Napoli un timballo di riso cotto al forno nel sugo di pomodoro e riempito di polpettine di carne, salsiccie (preferibilmente le cosiddette cervellatine napolitane), mozzarella, rigaglie di pollo e funghi.
«Strangolaprièvete». – Questo termine dialettale sta ad indicare gli gnocchi fatti con farina, semola e poche patate, conditi con sugo di ragù.
Minestra maritata. – È minestra della stagione invernale, di brodo di carne con cotiche, guancia, oreccio e collo di maiale, fette di pezzentella (salsiccia composta dei resti di carne di maiale risultanti dalla lavorazione salumiera), osso di prosciutto, cicoria, verze e cavoli cappucci.
Zuppa di soffritto. – Il «soffritto» è una preparazione napoletana dei mesi invernali, fatta con la coratella di maiale e cuore; esso si fa cuocere in un brodo molto denso di pomodoro e papacchio (peperone piccante) e si serve caldissimo, accompagnato da crostini di pane o da biscotti chiamati friselle. Simile è la zuppa di «carnecotta», ma con frattaglie di vitello, bue o vaccina.
Riso e «coténe». – Cotenne fresche di maiale cotte ed unite a riso bollito e lardo.
Zuppa di zucchini. – È fatta con zucchini in dadi soffritti nello strutto, uniti ad uova sbattute, formaggio grattugiato, e basilico.
Zuppa di fagiolini. – È composta di fagiolini cotti in un intingolo d’olio, aglio, salsa di pomodoro o pomidori freschi.
«Cianfotta». – Minestra assai saporita di patate, peperoni, melanzane e pomodori. È specialmente usata in campagna.
Lampi e tuoni. – Ministra di pasta e ceci, di magro.
Fagioli con pasta. – Fagioli lessati, conditi con lardo, prezzemolo ed aglio ed uniti alla pasta (tubetti) cotta a parte.
Fagioli «assoluti». – Fagioli lessati e conditi con olio, prezzemolo, aglio e peperone forte.
Fagioli «alla maruzzara». – Fagioli cotti in olio, pomodori, aglio, origano e peperone forte.
«Spullecarielli». – Fagioli freschi lessati e conditi con salsa all’olio di pomori freschi.
Minestra di lenticchie e borragine. – Lenticchie lessate e condite con olio, nelle quali si cuoce la borragine.
Piselli con la ventresca. – Piselli cotti con lardo, cipolla e dadi di ventresca (pancetta di maiale); vi si possono aggiungere anche delle uova sbattute col formaggio.
Zucca rossa e pasta. – Zucca cotta con olio sino quasi alla consistenza d’una salsa, che s’aggiunge ai maccheroni.
Zuppa alla marinara. – È la zuppa di pesce saporitissima, come quelle che si fanno sulle altre nostre spiagge. Vi rientrano le più diverse varietà di pesci e molluschi, il pomodoro, il papacchio piccante ed aromatico. Con l’intingolo si usa anche condire i vermicelli.
Zuppa di vongole. – è una squisitissima pietanza, specialità delle trattorie di S. Lucia, di Posillipo ed in genere di quelle site lungo la marina. Essa consta d’un intingolo assai gustoso, a base d’olio, di salsa di pomodoro, di vino asciutto, aglio, e prezzemolo, nel quale si fan cuocere le vongole col guscio sino a che si sieno tutte aperte cedendo l’acqua che contengono; la zuppa si serve caldissima con fette di pane fritto in olio.
Zuppa di «maruzze». – Le maruzze sono le lumache che, dopo lessate, si condiscono con una salsa di conserva di pomodoro; è piatto del giovedì santo. La zuppa di cozziche (mitili) è fatta allo stesso modo ed è anche più saporita.
Fritture di pesce. – Fra tutte le pietanze di pesce, eccellono a Napoli le fritture, che sono fatte in modo inarrivabile, tanto da potersi chiamare delle vere specialità delle trattorie a mare partenopee: sono particolarmente prelibate quelle di triglie, calamaretti, palaie (sogliole), gamberi, mazzacuoghi (…).
«Cicenielli». – Pesciolini minutissimi fritti in una «pastetta» di farina lievitata ed uova frullate.
Polpi «alla Luciana». – Così chiamati dal rione di S. Lucia, ove abitano i pescatori e barcaioli. Si adoperano i polpi veraci (purpetielle ‘e scoglie) che si fan cuocere in una pentola di terracotta, con olio, spicchi d’aglio, pomodori a pezzetti, papacchio e prezzemolo. A cottura ultimata l’intingolo ha assunto una consistenza sciropposa.
Baccalà alla napoletana. – Baccalà infarinato e fritto all’olio, quindi stufato in teglia con un intingolo fatto di salsa di pomodoro, aglio, capperi, olive nere di Gaeta e pepe.
«Stocco a fungitello». – Stoccafisso lessato, quindi cotto in soffritto d’olio e aglio, con pomodoro e basilico.
Sarde alla napolitana. – Sarde fresche cotte in tegame con olio, pepe, prezzemolo, origano e listerelle di pomodoro fresco.
«Parmigiana» di melanzane. – Melanzane tagliate a larghe fette, fritte all’olio, quindi poste in tegame a strati alternati con salsa di pomodoro, formaggio parmigiano, basilico e per ultimo fettine di mozzarella, e fatte «gratinare» al forno. Nonostante il nome, questo piatto è prettamente napolitano.
Peperoni imbottiti. – Pietanza estiva: grossi peperoni dolci, gialli, verdi e rossi (specialità di Nocera Inferiore) ripieni di olive, capperi, acciughe e pan grattato, e arrostiti.
Funghi alla napoletana. – Funghi lessati, quindi cotti in soffritto d’olio ed aglio, con aggiunta di pomodori freschi.
Zucchini «a scapece». – Zucchini affettati, fritti, lasciati raffreddare, quindi conditi con aceto e foglioline di meta. Così si fanno anche le melanzane (1) (Vuolsi che la parola «Scapece» derivi da Esca Apicii, cioè «cibo d’Apicio»: infatti nel De Re Coquinaria attribuito ad Apicio (libro III) esiste un modo consimile: zucchini fritti, poi conditi con salsa acida e pepe. Ad ogni modo, i vari cibi che ancora oggi si chiamano scapece o scabeccio o scaveccio, hanno come base la marinatura con l’aceto, che era già in voga ai tempi di Apicio.).
Mozzarella «in carrozza». Pietanza famosissima di stretta specialità napolitana. Fette di mollica di pane a ciascuna delle quali è intercalata una fetta di mozzarella fresca; infarinate e passate in uovo sbattuto, sono fritte in strutto bollente e servite caldissime.
Mozzarella impanata. – Fette di mozzarella indorata con uovo sbattuto, impanate e fritte.
Mozzarella ai ferri. – Fette di mozzarella cotte alla griglia.
Mozzarella e uova. – Uova al tegame cotte con fette di mozzarella che si fondono al calore, amalgamandosi con le uova.
Fritto alla napolitana. – È il cosiddetto «fritto di casa», gloria delle massaie di Napoli, fritto misto in grande, che nella sua edizione genuina, ormai sempre più rara, è composto di numerose varietà di fritture, fino a venti ed anche più, ed è fatto con arte insuperabile. Vi si comprendono i panzarotti (v. sotto), le mannelle (manine di pasta), gli sciurilli (fiori di zucca), i differenti crocché (crocchette) di riso e di patate, la mozzarella ed altri formaggi, gli zucchini ed altre ortaglie, i tuorli d’uovo avvolti in balsamella, i pesci di piccola mole ma specialmente sardelle e acciughe, le cervella, le animelle, il fegato ecc. il fritto napolitano vien cotto in diverse riprese, a pochi pezzi la volta, affinché possa essere mangiato caldissimo e croccante; onde non è raro, in una mensa numerosa, veder portare quindici o venti volte la padella in tavola: è il sistema detto «frienno magnanno», cioè «friggendo mangiando», ed è certamente il colmo della raffinatezza!
Costini alla napoletana. – Fette di pane fritte da un solo lato, quindi ricoperte, dalla parte fritta con fettine di mozzarella, filetti d’acciughe, pomodori freschi a pezzetti, pepe, origano, con qualche goccia d’olio, cotti nella teglia; si mangiano caldissimi. Sono anche molto usati dei crostini di pane alternati a fettine di mozzarella, cotti all’olio e conditi con salsa d’olio e acciughe.
«Gattò» di patate. – Patate lessate, schiacciate e cotte in casseruola con mozzarella, uova sode e salame a pezzetti.
«Gattò» Santa Chiara. – Specie di budino fatto d’una pasta di farina e patate con burro ed uova, lievitata ed impastata con fettine di prosciutto, dadi di mozzarella o provola, il quale è cotto al forno nella teglia. È una variante del precedente.
Pizza. – È una delle specialità più note e caratteristiche della cucina napolitana, per la quale vanno celebri le «pizzerie» che da Napoli hanno dilagato in molte altre città nostre. Essa consiste essenzialmente d’una larga torta circolare, spessa mezzo centimetro, di pasta di pane lievitata, alla superficie della quale è colato dell’olio e su cui si dispongono vari ingredienti, quali la mozzarella, pomodori, acciughe, funghi, a seconda dei gusti, oltre a dell’origano come aromatizzante. La pizza vien cotta al forno e servita caldissima. Vuolsi che questo piatto tradizionale fosse cibo prediletto di Re Ferdinando II, il più napolitano dei sovrani borbonici.
Pizza alla Campofranco. – Anch’essa nota specialità napolitana, appartiene alla famiglia delle pizze, delle quali rappresenta però il tipo più fine. Si impiega infatti della pasta da brioche, in mezzo a due larghi dischi della quale vengon disposte delle listerelle di mozzarella, di prosciutto e di pomodoro fresco scottato nell’olio, con abbondante formaggio parmiggiano grattugiato. La pizza così formata, dorata con uovo sbattuto e ben lievitata, vien cotta al forno; anch’essa si mangia caldissima.
Pizza di scarola. – è analoga alla precedente, salvo che viene imbottita con un composto fatto di scarola (cicoria dolce) cotta in tegame con olio, acciughe, capperi, olive nere di Gaeta; è cotta al forno, all’olio, ovvera fritta in padella.
Pizza rustica. – Torta di pasta frolla, o mezzafrolla, ripiena di mozzarella, ricotta, uova, formaggio e prosciutto a pezzetti.
Migliaccio. – torta d farina di granone con ciccioli di maiale, provola di bufala, pepe, pezzetti di provolone.
«Tortano ch’e cicule». – Pane tondo di farina impastata con sugna, ciccioli, pepe, uova, provola, salame. Si mangia caldo.
Panzarotti. – sorta di piccoli ravioli di pasta sfoglia fatta all’uovo e burro, ripieni di un impasto di ricotta, tuorlo d’uovo, dadini di prosciutto, prezzemolo tritato, cannella e pepe, indorati con uovo sbattuto, fritti in padella ad olio bollente.
«Calzone» imbottito. – Un largo disco di pasta da pizza viene imbottito per una metà con pezzetti di mozzarella e fettine di prosciutto, e condito con sale e pepe; si ripiega l’altra metà sulla prima, in modo da ottenersi un «raviolone» che, unto di olio e strutto, si cuoce al forno: il «calzone» si serve cosparso di una abbondante salsa bollente, fatta di pomodoro fresco a pezzi, olio, aglio, sale, pepe e origano.
«Cazuncelli ‘mbuttunati». – antico piatto napolitano, di forma simile al precedente, ma assai più piccolo, ove il ripieno è costituito da una mescolanza di prosciutto e salame a pezzetti, prezzemolo trito e basilico, pepe ed uovo sbattuto: si hanno così dei ravioli che si friggono in padella e si mangiano con o senza salsa di pomodoro.
Caponata o panzanella alla marinara. – gallette ammorbidite in acqua, messe in una insalatiera con acciughe, cipolle e pomodori freschi a fette, basilico ed aglio, peperoni verdi ed olive disossate, condite con sale, pepe, olio e aceto.
Trippa alla napolitana. – Trippa lessata, quindi cotta in soffritto di sugna e cipolla, con uova, prezzemolo e formaggio.
Cervelli alla napolitana. – Cervelline di agnello cotte in tegame al forno, con capperi, olive nere di Gaeta, pepe e pan grattato.
Spezzatino d’agnello. – Quarto interiore d’agnello di latte, tagliato a pezzetti, soffritto nello strutto di maiale, quindi portato a cottura con dei piselli freschi, delle uova sbattute con formaggio grattugiato e prezzemolo.
Agnello pasquale.  – Agnello di latte cotto al forno nel ruoto (tegame), con sugna, cipolle e patate a pezzetti.
Braciola di maiale. – Pietanza di carnevale, fatta di fette di carne di maiale arrotolate, con ripieno di prosciutto, uva passa e pignoli, cotte in umido al sugo di stufato.
Braciolone alla napolitana. – Grosso polpettone fatto con fette di carne di manzo nelle quali è involto un trito d’aglio, prezzemolo e maggiorana amalgamato con mollica di pane e rossi d’uovo, insieme a pignoli ed uva passa, rosolato allo strutto e terminato di cuocere con un intingono di salsa di pomodoro, cipolle, sedani, carote ed aromi. Il polpettone è invece fatto di carne pesta e mescolata al composto ora descritto.
Costata «alla pizzaiola». – Costata di bue saltata all’olio bollente, quindi terminata di cuocere in una salsa composta di aglio, pomodori pelati, sale, pepe ed origano. Allo stesso modo si fa la carne «alla pizzaiola» in cui la costata è sostituita da fette di carne di manzo. È il modo in uso nelle «pizzerie», donde la denominazione.
Bistecchine alla napolitana. – Fettine di filetto di bue cotte in umido con un trito finissimo di prosciutto, funghi e prezzemolo; si servono con crostini di pane fritti. È una variante della carne alla pizzaiola.

I DOLCI.
Sfogliatelle. – Focaccette  dolci delicatissime, fatte di sfogliata (sfogliatelle riccie) o di pasta frolla (sfogliatelle frolle), variamente imbottite con crema, cioccolata, cotognata, marmellata, e variamente aromatizzate e profumate con cedro, arancio, vaniglia, cannella, rosa, ecc. Le sfogliatelle sono di assai vecchia origine e rappresentano a Napoli una tradizione che alcuni dolcieri si sono tramandati gelosamente di padre in figlio.
Sfogliata rustica. – Variante delle precedenti, in cui entrano, come ripieno, mozzarella, prosciutto e ricotta, ed in qualche luogo – come nell’Avellinese – chicchi di grano stracotti.
Zèppole. – Ciambelle cotte in padella o al forno, di pasta dolce all’uovo, o di pasta reale con mandorle, variamente aromatizzate. Sono tradizionali nella ricorrenza del giorno di S. Giuseppe, ed anche per Carnevale. Queste zeppole sono chiamate a bignè; oltre di esse si fanno le zeppole semplici, o graffe, di farina di frumento bollita con un po’ di strutto, sale e corteccia di limone, quindi impastate con tuorli d’uovo, fritte e spalmate di miele: hanno la forma di ciambelle col buco e si mangiano fredde.
Pastiera. – Torta di pasta frolla ripiena di chicchi di grano ammorbiditi da un lungo bagno in acqua, di ricotta, pezzetti di cedro e di cioccolata, profumata all’arancio o alla vaniglia. È il dolce tradizionale della Pasqua.
Casatielli. – Si chiama casatiello dolce, o pigna di Pasqua, una focaccia fatta con pasta da brioche, guarnita, alla superficie, di uova intere e zucchero in grana. V’ha poi il casatiello rustico, fatto di semplice pasta lievitata, cotta al forno con olio o sugna. Si fanno infine delle piccole torte di farina di granone ed una passa, cotte al forno, che si chiamano «’e casatielle ch’e passe» (casatielli con uva passa), le quali si mangiano al mattino d’inverno.
Raffiòli. – Dolci da tavola di forma ovale, semplici o imbottiti di frutta. Si fanno specialmente per il Natale e la Pasqua.
Pizza dolce. – È fatta di pasta frolla, imbottita di crema, e profumata alla vaniglia: della stessa fattura sono i pasticcetti.
Pasta reale. È fatta essenzialmente di mandorle e zucchero, in diverse forme, con la superficie variamente colorata. È dolce di Natale.
Mostacciòli. – Dolci a forma di pani rotondi, fatti di farina, zucchero, mandorle e cioccolata; si fanno anche ripieni con frutti canditi e cioccolata. Sono dolci di Natale.
Sosamielli. – Dolci pasquali fatti di farina, miele, mandorle, cedro candito, che hanno una consistenza piuttosto dura.
«Rococò». – Altro dolce pasquale, più duro del precedente, fatto di farina, zucchero, cedro e molte mandorle.
Croccanti. – Vengono fatti in varia forma, di mandorle e zucchero caramellato. Si fanno anche in grandi dimensioni, montati con frutta candite e struffoli (v. dopo). Dolce di Natale.
Struffoli. – Piccole pallottole di pasta di farina ed uova, cotte in padella al burro, spalmate di miele con confettini colorati. Dolce di Natale e Carnevale, comune anche ad altre regioni. Nelle pasticcerie si trovano degli struffoli cotti al forno, più leggeri di quelli fritti.
Sanguinaccio. – Dolce di Carnevale, fatto di crema, sangue di maiale, latte, burro e cioccolata, con pignoli e canditi a pezzetti, profumato di vaniglia o alla cannella. Ha consistenza piuttosto fluida e si serve con dei biscottini. Anch’esso è proprio a parecchie altre regioni.
Pizza «figliata» o «fogliata». – Cialda di pasta semi-frolla su cui si spalma del miele, con noci, nocciole, mandorle a pezzettini, cedro e spezie: arrotolata su sé stessa, le si dà una forma di spirale e la si cuoce in padella o al forno.
Taralli. – Appartengono al genere di biscotteria, in cui le panetterie e pasticcerie napolitane raggiungono la perfezione: taralli asciutti, ciambellette di pan biscotto asciutto o croccante; taralli con la sugna, gli stessi cotti con la sugna e conditi con pepe; taralli all’anice, con semi d’anice;taralli dolci, di pasta zuccherata.
Altri dolci sono gli ancinetti, i quaresimali, i biscottini, i confetti della zita, le mandorle attorrate.
Gelati. – La gelateria napoletana è notoriamente tra le più perfezionate per la varietà e la squisitezza delle sue confezioni, tra cui eccellono gli stracchini, le mattonelle, le caciottelle, gli spumoni.

acerra. Fagioli ossa di morto e cannellini d’Acerra; bianchi, di rapida cottura, se ne fa grande esportazione anche in America, come pure delle patate d’Acerra di pasta delicata e gustosa. – mozzarelle – anguille. – Nocillo, liquore amaro fatto con mallo di noce.
Aversa. – Mozzarelle – Meloni di pantano.
Capri. – Aragoste, acciughe ed altra pesca – Ravioli ripieni di carne, uova sode e formaggio, conditi con erbe aromatiche e salsa di pomodoro – Caponata, di gallette o di biscotti rammolliti in acqua, conditi con olio, aceto, aglio ed erbe aromatiche (v. sopra).
Capua. – Carciofi (carcioffole capuanelle) piccoli e teneri; finocchi e numerose altre verdure, di cui la plaga è ricchissima e che danno luogo ad una fiorente esportazione (melanzane, peperoni, cavolfiori, cetrioli, cocozze zuccherine, insalate ecc.); olive bianche e nere, conservate in salamoia o essiccate al forno; pomodori da insalata e da conserva. – Meloni, cosiddetti meloni da pane capuanelli, rinomati per il profumo e il sapore; grossi cocomeri, fichi bianchi e neri, freschi e secchi, fichi d’India; arachidi (nocelle americane) – Forte produzione di salumi fra cui sono tipiche le salsiccie di polmone, fatte con interiora e grasso di maiale (polmone, fegato, cuore, reni) drogate con pepe rosso d altre specie, ed i sanguinacci, sangue di maiale cotto ed insaccato con cioccolata, pinoli, uva passa e cedro candito – Mozzarelle dei Mazzoni, scamorze, burrielli di bufala, caciocavalli di latte di vacca, formaggette di latte di capra o di pecora, piccanti, aromatizzate con pimpinella (poterium sanguisorba), quagliate e giuncate – anguille, alose e gamberi del Volturno; le alose, grosse sarde che risalgono il fiume in inverno per deporre le uova, localmente si fanno arrostire intere o fritte a fette sottili, condite con aromi e guarnite di uova sode – Quaglie, beccacce, beccaccini, starne folaghe.
Cardito. – Mozzarelle, burrielli.
Casoria. – Pane ‘e Casoria, milza di vacca imbottita di salame, uova toste, capperi, uva passa.
Castellammare di stabia. – Meloni – Ricotta, mozzarella e «capocavallucci» - Gallette dolci e brusche, gallettine dolci, specialità di biscotteria rinomatissime, come i taralli ed i biscotti – Paste alimentari.
Castelmorrone. – Formaggio pecorino.
Giugliano in Campania. – Verdure – Pesche  maggiaiole e rossolelle, albicocche, pere, mele; la località è centro frutticolo importante con rilevante esportazione – Cefali del lago di Patria; aragoste (si pescano sul littorale tra il lago di Patria e Mondragone) – Mozzarelle di latte di bufala dell’Arenata di Patria; quagliata di latte pecorino – Capicollo, salume fatto con filetto di maiale salato ed insaccato in budella vaccine, lungo circa un metro; se ne fa molto consumo nella festa tradizionale di Pentecoste (si richiama a Giugliano grande folla) ove è di prammatica insieme alla laganelle (fettuccine di pasta all’uovo) lessate e imbottite con salame, mozzarella, polpettine di carne, uova sode a fette; come pure nel giorno di Pasqua.
Gragnano. – Paste alimentari.
Ischia. – Ciliegie di Molignano. Fichi.
Maddaloni. – Albicocche.
Marano di napoli. – Piselli.
Marcianise. – Rane.
Massalubrense. – Ricottelle.
Melito di napoli. – Mele annurche.
Miano (fraz. Di Napoli). – Mele annurche.
Mondragone. – Cipolle della Rocca (fraz.) (…)
sorrento. – Noci, aranci – Burri, caciottelle, provole e provolette, quagliate fresche.

torre annunziata. – Paste alimentari.

 

 
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