Tra le due guerre - Attività economiche e produttive - Economia marittima
La modernizzazione dell’industria armatoriale napoletana tra le due guerre mondiali

Ai principi del Novecento l’età d’oro dei grandi velieri oceanici - orgoglio e ricchezza dei numerosi casati armatoriali sorrentini e procidani - è definitivamente tramontata. Solo pochi imprenditori, originari della costiera sorrentina,  riescono ad acquistare i moderni mezzi di ferro e d’acciaio.
Nel compartimento marittimo del porto di Napoli, alla vigilia della Grande guerra, risultano iscritti solo 16 piroscafi da carico: 4, di nuova costruzione, della Ditta Ciampa e 6, acquistati di seconda mano, di Tommaso Astarita. Quest’ultimo tra il 1917 e il 1922 ne costruisce altri 4, molto grandi, nel suo nuovo cantiere della Bacini e Scali Napoletani. L’improvvisa scomparsa di Astarita e la messa in liquidazione delle attività dei Ciampa stroncano in pochi anni le loro promettenti iniziative.
Nel frattempo l’emigrazione transoceanica, l’attività più lucrosa del porto partenopeo, è in mano a società estere o del Nord Italia e i numerosi capitani sorrentini e procidani sono costretti ad emigrare o a impiegarsi come dipendenti nelle compagnie di altre regioni. Infatti ancora nel 1925 tra i 26 grandi gruppi armatoriali italiani nessuno è napoletano e l'unico meridionale è pugliese.
Tuttavia la vicenda della Flotta Lauro, una tra le più grandi imprese armatoriali del XX secolo, costituisce la riprova che anche al Sud si è potuta sviluppare una tradizione imprenditoriale di successo. Gli inizi risalgono al 1923: Achille Lauro, discendente da uno dei casati marinari di Piano di Sorrento, acquista all’asta il piroscafo statunitense Lloyd (6 mila tonn. s.l.), ribattezzato Iris, prima unità di una flotta il cui successo durerà ininterrottamente per oltre 80 anni. Tra gli operatori internazionali c’è l’attesa di un rialzo del prezzo dei noli, scesi da 58 a 8 sterline (a tonnellata) in seguito alla smobilitazione postbellica; invece, smentendo ogni aspettativa, crollano a 4 sterline nel 1925, mettendo in gravi difficoltà le società che si sono indebitate per intercettare la ripresa. Sia nel resto d’Italia, che all’estero, tutti sono costretti a disarmare; nel golfo di Napoli, invece, sull’esempio di Lauro e dei risultati da lui ottenuti, nasce una moderna generazione di imprenditori del mare.

Mentre le più antiche e prestigiose compagnie di navigazione italiane - Lloyd Triestino, Lloyd Sabaudo, Navigazione Generale Italiana, Fratelli Cosulich – si avviano verso un inevitabile declino, gli armatori napoletani cominciano a comprare e a far navigare i piroscafi che gli altri svendono. Lauro riceve in comodato gratuito, e poi acquista, 6 piroscafi dalla Peirce e dalla Florio. Un ulteriore ribasso dei noli (nel 1931 sono a 3 sterline), effetto della crisi del ’29  e della quasi paralisi degli scambi che ne consegue a livello mondiale, produce un’autentica ecatombe di navi. Ma gli operatori marittimi del golfo di Napoli resistono.
Il governo fascista acquisita il controllo finanziario delle principali compagnie private italiane per salvare dal fallimento la quasi totalità della flotta mercantile nazionale cosicché, quando i noli si stabilizzano e riprendono a salire (nel 1936 sono a 10 st.), del grande armamento privato nazionale sono rimasti solo i Costa e Fassio. Accanto a questi emerge un grande gruppo napoletano: la Flotta Lauro, che alla vigilia della guerra, con 57 navi (c. 300 mila tonn., ben l’8,8% dell’intera flotta mercantile nazionale) - unica tra le società private italiane - ordina la costruzione di due motocisterne, Fede e Lavoro, tra le più grandi sino ad allora concepite. Il riconoscimento ufficiale dell’ascesa della Flotta Lauro e della crescita degli armatori del Sud viene dalla costituzione del Sindacato Armatori dell'Italia Meridionale e delle Isole: Lauro ne diviene presidente nel 1939 e nello stesso tempo è membro della giunta della Federazione Nazionale Armatori, dove siede alla pari con i grandi concorrenti settentrionali.
Anche gli altri gruppi privati napoletani superano brillantemente la prova, e nel 1940 il comparto napoletano, con 219 navi per 510.044 tonn., rappresenta il 15,2% del totale nazionale. Oltre alle tante imprese a carattere familiare, allora con una o due imbarcazioni (vi compaiono nomi familiari per il ruolo di rilievo che oggi hanno nello shipping: Luigi e Giovanni Aponte, Vincenzo Onorato, Umberto D’Amato), non mancano imprese che hanno più navi di medie e grandi dimensioni: i sorrentini Raffaele Romano, Angelo Scinnicariello e Agostino Lauro; un nutrito gruppo di torresi, Gennaro Montella, Giuseppe Palomba e i fratelli Jacomino, Giovanni Bottiglieri e Raffaele Capano; Pasquale Mazzella procidano; Biagio Borriello e i fratelli Rizzuto, napoletani. A questi occorre aggiungere la Span (Società Partenopea Anonima di Navigazione) e la Società Rimorchiatori Napoletani; la prima, diretta da Giovanni Longobardo, con 12 imbarcazioni di piccole dimensioni, specializzata nella navigazione di linea nel Golfo; la seconda con 8 rimorchiatori, favorita dai grandi lavori di ammodernamento del porto, eseguiti in occasione della costruzione della nuova stazione marittima. Per completare il quadro bisogna ricordare che Napoli è anche sede della società Tirrenia, nata nel 1932 dalla fusione della Florio e della Citra, che con le sue 54 navi (per un totale di circa 157.000 t. s.l.) rappresenta il secondo gruppo armatoriale della città, subito dopo Lauro.

Biagio Passaro e Francesco D'Esposito

 
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