Il Regno delle Due Sicilie - "Via Toledo" al Quarantotto

“Via Toledo” al Quarantotto

"Ma torniamo a Toledo. Ecco, all'angolo di Via Taverna Penta, il Caffé Donzelli, frequentatissimo, elegantissimo ritrovo di gente della quale una parte s'occupa di politica e l'altra accorre lą dentro per gustare la bomba alla masseduana, il latte alla vaniglia, l'impastata di frutta e le ricottelle di cioccolate. Pił su, nel Caffé delle tre porte a Montecalvario, tenuto da tal Primavera, gią si comincia invece, a polemizzare ogni sera e a parlare di Mazzini, di Pio Nono, di coccarde e di Statuto. I tranquilli borghesi del Largo delle baracche, della Speranzella e del Vico Lungo Gelso se ne sono gią prudentemente allontanati e il commissario del quartiere vi ha posto a passeggiar davanti due gendarmi travestiti. Altri due, verso sera, esercitano le loro lunghe gambe davanti al Caffé Testa d'oro - rimpetto alla Via dei Fiorentini - conosciuto cenacolo di quelli che S.M. Ferdinando (dio Guardi) chiama sorridendo 'e pennaiuole' - gli scrittori". La consumazione abituale, nella maggior parte di queste botteghe, si conteneva nei limiti del tocchetto, caffé nero servito in tazze non minuscole e pagato un grano, s'intende con diritto al giornale, all'acqua fresca, che si diceva del tempo, e al sensetto di rum o anice". (Salvatore Di Giacomo, "Via Toledo" al Quarantotto, in Napoli. Figure e paesi, Il teatro-La canzone-La storia-La strada, Napoli, Perrella, 1909)

La rievocazione della vivace strada cittadina, famosa per i suoi ritrovi affollati di turisti, di perdigiorno e di studenti, sempre pił disposti, alla vigilia di eventi rivoluzionari, ad animate discussioni politiche, rientra in pieno nel gusto del "tempo perduto" che fu proprio del Di Giacomo. Al di lą della rielaborazione fantastica, la vita nella capitale borbonica era effettivamente scandita dagli abitudinari rituali dei suoi diversificati abitanti, tanto nelle vie del passeggio, quanto nei caffč ove si potevano leggere i giornali freschi di stampa per aggiornarsi sui teatri, gli eventi mondani e sentirsi in vario modo inseriti nella modernitą. Del resto, gią negli ottecenteschi anni Trenta, proprio la satira di Leopardi contro gli intellettuali napoletani, collaboratori del "Progresso" di Giuseppe Ricciardi, i "nuovi credenti", convertitisi dal razionalismo ateo settecentesco al fideismo cattolico, ci riconduce, con amor di dettaglio, a medesimi scenari urbani e a medesime superficiali consuetudini, facendo "precipitare" tutto il dissenso del solitario e "forestiero" poeta:

e in breve accesa
d'un concorde voler tutta in mio danno
s'arma Napoli a gara alla difesa
de' maccheroni suoi; che a' maccheroni
anteposto il morir, troppo le pesa.

(Giacomo Leopardi, I nuovi credenti, vv.11-14)

Caterina De Caprio

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