Tra le due guerre - L'Istituzione - Prefettura
Il prefetto e il fascismo

L'apice del potere e del prestigio fu raggiunto in epoca fascista, per quanto molti di coloro che entrarono nell'amministrazione nella fase giolittiana si considerassero servitori dello Stato, piuttosto che del regime. Il Prefetto divenne comunque strumento nelle mani del potere centrale per poter esercitare in periferia un controllo sull'amministrazione comunale (La legge d'istituzione dei podestà del 4.2.1996 n. 237 all'articolo 2 concedeva al Prefetto la potestà di trasferimento e di proposta di revoca del podestà contro cui non si poteva ricorrere) e un'azione di coordinamento e di indirizzo politico nella provincia (La legge di estensione delle attribuzioni dei prefetti del 3.4.1926 n. 660, all'articolo 1 recitava testualmente: “I prefetti provvedono ad assicurare, in conformità con le generali direttive del governo, unità d'indirizzo politico nello svolgimento dei diversi servizi di spettanza dello Stato e degli enti locali”, mentre all'articolo 2 e 3 gli si conferiva l'autorità di vigilare su tutto il personale delle varie amministrazioni statali e di riunire vari funzionari delle province per avere notizie sull'andamento dei servizi, compresi i magistrati, per poter poi riferire al ministero dell'Interno, nelle sue relazioni sulla situazione della provincia sotto tutti gli aspetti economici politici e di ordine pubblico).
La nuova legge comunale e provinciale, R.d. 3.4.1934 n.383, estese i poteri straordinari dei Prefetti sulle amministrazioni locali e ne diede questa definizione: "Il Prefetto è la più alta autorità dello Stato nella provincia. Egli è il rappresentante del potere esecutivo" (art.1).
Nel ventennio fascista essi furono soggetti, soprattutto tra il novembre del 1922 ed il 1929, a intensa mobilità, e spesso a conflittualità, a livello locale, con i membri del P.N.F. (Partito nazionale fascista). Furono sottoposti all'istituto dell'esonero temporaneo dalla funzione (collocamento a disposizione per 3 anni) ed a quello del collocamento a riposo per ragioni di servizio come strumenti per allontanare il Prefetto in caso di contrasto con il locale Segretario Federale.
A Napoli in tale periodo con R.d. 15.8.1925 n. 1636, si istituì la figura dell'Alto Commissario per la città e la provincia di Napoli, con compiti di coordinamento di tutte le attività dirette al miglioramento delle condizioni economiche e sociali della provincia e di riordinamento ed incremento dei pubblici servizi. “Si attribuivano a questa figura tutte le competenze prima del Prefetto in materia di amministrazione comunale e provinciale, quelle prima del Provveditore per le opere pubbliche, e la vigilanza su tutte le amministrazioni statali della provincia tranne quelle attinenti alla giustizia, alla guerra, alla marina, all´aviazione e alle finanze. Gli si affidava inoltre la gestione finanziaria tecnica ed amministrativa di tutti i lavori da eseguirsi per conto dello Stato ed anche quelli già in corso o quelli già appaltati. Il termine del 30 giugno 1930, fissato inizialmente, fu prorogato fino al giugno 1936 con due successivi decreti” ( R.d. 10.7.1930 n. 1048 e R.d. 5.3.1935 n. 467). “Con ulteriore decreto si nominava nella carica Michele Castelli, già Prefetto di Napoli dal gennaio dello stesso anno, a cui successe dal marzo 1932 al giugno 1936 Pietro Baratono già Prefetto di Firenze, che contestualmente rivestiva la carica di Prefetto di Napoli.
Si ha pertanto a Napoli dal 1925 al 1936 l´accentrarsi di due cariche molto importanti, quella di Prefetto e quella di Alto Commissario nelle mani di due abili funzionari con una ricca esperienza amministrativa alle spalle. La costituzione di questo nuovo organismo fu la risposta della dittatura per poter organizzare la propria presenza nella città e nella provincia dopo un´iniziale fase di rifiuto del fascismo; infatti l´Alto Commissario, nella persona del Castelli prima e del Baratono poi, rappresentò un elemento di continuità e nello stesso tempo di rottura che "lo rendevano adatto ad attirare simpatie del ceto politico municipale più legato alla tradizione, senza, tuttavia, correre il rischio di diventare docile strumento di interessi locali", personificando l´accordo tra il potere centrale e gli esponenti locali del partito unico”.
 
Renata De Lorenzo
 
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