Il Regno delle Due Sicilie - Eventi - Epidemie - Colera del 1836-37
L’epidemia di colera del 1836-37

Il colera è la malattia epidemica tipica dell’Ottocento europeo, come la peste lo è nei secoli precedenti. Temutissima dalle popolazioni non tanto per i morti che fa (che non sono molti di più di quelli di altre malattie per l’epoca micidiali, come il morbillo, la tubercolosi, la malaria), ma perché rapida, violenta, misteriosa, esotica. È detto «morbo asiatico» e colpisce molto l’immaginario collettivo, come flagello inesorabile. Endemico in alcune regioni dell’India da tempi immemorabili, si diffonde a macchia d’olio in Asia, Africa ed Europa a partire dal secondo-terzo decennio del secolo XIX. In Italia molte sono le epidemie di colera nell’Ottocento, ma tre sono le maggiori: due premunitarie, nel 1835-37 e nel 1854-55; l’ultima in età liberale, nel 1884.

Diego Velázquez, San Antonio Abate e San Paolo l'eremita

La prima epidemia fa circa 160.000 morti nel Regno delle Due Sicilie nel 1836-37, di cui 90.000 nella parte continentale e 70.000 in Sicilia, pari nel complesso ad oltre i due terzi di morti dell’intera penisola italiana. Il colera colpisce soprattutto la popolazione delle grandi città, rispetto a quella dei piccoli centri o delle campagne e la città di Napoli è molto colpita, con 19.479 morti, pari al 5,3% della popolazione; ma ben di più lo è Palermo, dove muore il 13,5% della popolazione. A Napoli e a Palermo il colera trova terreno fertile per la sottoalimentazione della popolazione più povera e soprattutto per le carenze strutturali dell’assetto urbano: abitazioni piccole, senza luce e senza aria, in tanti in una stanza, spesso in due in un letto; fognature inesistenti o carenti; acquedotti approssimativi e inquinati; strade sporche, ricettacolo di immondizie e di escrementi per settimane.
A Napoli si manifesta in due fasi: arrivato nell’ottobre 1836 dalla Puglia (nel Nord Italia era arrivato nel luglio 1835), il colera alla fine dell’anno sembra estinto, ma nell’aprile 1837 torna con maggiore virulenza, aggravato dall’inquinamento generale delle condutture dell’acqua potabile. Mentre nella prima fase sono molto più colpite le classi povere, nella seconda il morbo non fa distinzioni e colpisce poveri e ricchi in modo indifferenziato.
I napoletani e le altre popolazioni colpite, specialmente quelle più misere, reagiscono con pregiudizi e diffidenza verso lo stato, i signori, i medici, gli ospedali; si diffonde  la credenza che i signori o il re li vogliano avvelenare; in molti luoghi scoppiano tumulti che in vari casi sfociano in vere e proprie sommosse. Lo stato e la sanità pubblica fanno quello che possono: poco, perché della malattia non si conosce in questo momento niente, la medicina è ancora assai approssimativa e in tanti casi fa ulteriori danni, i pochi ospedali sono malvisti e Ferdinando II deve revocare l’ordine di ricovero obbligatorio per i colerosi.     

Una seconda epidemia colpisce Napoli nell’estate 1854, nell’ambito di un contagio che interessa tutta l’Europa nel biennio 1854-55. A Napoli gli effetti sono meno virulenti dell’epidemia precedente: i colpiti sono oltre dodicimila, i morti “solo” poco meno di settemila.

Silvio de Majo

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Bibliografia